Addio a Giuseppe Comand, l'ultimo testimone dell'orrore delle foibe

Domenica 5 Gennaio 2020 di Antonella Lanfrit
Giuseppe Comand
UDINE - Egli ha visto. E dopo quasi settantacinque anni stava ancora male, come confidò in un’intervista concessa due anni fa, quando «qualcuno osa negare gli eccidi di Tito e le Foibe». È questa la straordinaria eredità storica che ora lascia Giuseppe Comand, morto a 99 anni il 2 gennaio nella sua casa natale di Latisana, paese dove ieri sono state celebrate le esequie. Avrebbe raggiunto il traguardo del secolo il 13 giugno prossimo. Una vita intensa, che l’ha reso testimone delle efferatezze legate alla II Guerra Mondiale, quando aveva appena 23 anni. Nel 1943, dopo l’armistizio dell’8 settembre, a Pola, allora Italia e oggi Croazia, «dovevo lavare le tute di gomma» degli uomini che scendevano nelle foibe a tirar su corpi, ha raccontato il 6 gennaio del 2018 sulle pagine del quotidiano Avvenire. Nove giorni dopo quel racconto, il presidente della Repubblica Sergio Mattarella gli conferì l’onorificenza di commendatore al merito della Repubblica. «L’ultimo testimone oculare, da vigile del fuoco ausiliario, al recupero dei corpi degli italiani infoibati», ha motivato la nota ufficiale del Quirinale.

IL CONFLITTO  Diplomato all’Istituto agrario di Pozzuolo del Friuli, Comand allo scoppio della guerra fu destinato all’Africa con l’XI Genio militare, ma per mancanza di mezzi corazzati fu rimandato a Udine e destinato alla difesa territoriale. In seguito, nel 1941, fu scelto tra un gruppo di militari e trasferito a Sussak vicino a Fiume, per unirsi ai Vigili del fuoco. È lì che visse l’8 settembre del 1943, quando l’Italia firmò l’armistizio e gli italiani delle terre giuliane si trovarono improvvisamente tra i partigiani titini da una parte e  gli ex alleati nazisti dall’altra, con i primi che rastrellavano di casa in casa i cittadini italiani. La Compagnia di Comand, come rievocava egli stesso, si mise in cammino per raggiungere Trieste, ma le strade erano infestate dai partigiani con la stella rossa, «per cui dovemmo deviare tra Pisino e Pola e più volte rischiammo la pelle». A Pola si accamparono, ma furono prima circondati dai titini e poi caddero nelle mani dei tedeschi. «Ci tolsero le stellette e ci giurarono che se fossimo scappati le nostre famiglie sarebbero state internate in Germania. Ed è allora che – ha ricordato a 97 anni sulle pagine del quotidiano dei vescovi italiani – ci destinarono a riesumare dalle foibe quei poveri corpi, in aiuto ai vigili del fuoco di Pola, guidati dal mitico maresciallo Harzarich».

A guerra finita, quel maresciallo presentò alle autorità alleate la documentazione, descrivendo foiba per foiba l’attività svolta. Comand ebbe la possibilità di scappare, ma non se la sentì di abbandonare i suoi compagni, pur non volendosi considerare un eroe. Si ricordava che a Vines fu Harzarich a calarsi per primo, ma i miasmi lo costrinsero a risalire. L’impressione fu tale che Comand si rifiutò di scendere «in quel budello», gridando al maresciallo fascista che li aveva in consegna «di spararmi», piuttosto. Gli permisero allora di recuperare altri corpi sotto le macerie di case bombardate dai tedeschi, ma alla sera, quando la squadra tornava dal recupero effettuato nelle foibe, «dovevo lavare le tute di gomma degli uomini di Harzarich. I loro racconti erano spaventosi, come l’odore di cui erano impregnate le tute quando le gettavo nelle vasche di cemento colme di disinfettante».

L’ORRORE La foiba di Vines, la foiba di Villa Surani, una cava di sabbia a cielo aperto vicino a Pisino sono nomi rimasti stampati indelebilmente nella memoria di Giuseppe, che a distanza di decenni soffriva di più, perché durante la guerra «erano tempi in cui all’orrore si era abituati», ma quell’orrore gli era rimasto dentro, non era affatto sparito.
Tornato a casa, a Latisana, Comand si sposò con Modesta, scomparsa nel 2016 a 92 anni, ha avuto due figli e solo nel 2009, a 89 anni, è riuscito a portare la sua famiglia in Istria, ma non sulle foibe. «Troppo spavento», diceva, continuando però a sentire il dovere della testimonianza. Dopo la guerra subentrò al padre nella gestione di un’azienda agricola locale e negli anni Sessanta fu tra coloro che contribuirono alla creazione del ponte nelle campagne di Bevazzana che, attraversando il fiume Tagliamento, collegava Lignano Sabbiadoro a Bibione attraverso 17 barche cementate con 200 quintali l’una. Non ha mai smesso di ricordare. E di provare orrore.

 
Ultimo aggiornamento: 10:53 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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