L'elicottero abbattuto dal Mig degli eroi che cercavano la pace in Jugoslavia

La figlia del pilota Venturini: "Ue sparita, l'Italia batta i pugni"

Domenica 8 Gennaio 2023 di Angela Pederiva
L'elicottero abbattuto dal Mig degli eroi che cercavano la pace in Jugoslavia

«Buongiorno, sono Isabella, figlia del colonnello pilota M.O.V.M. Enzo Venturini. Mi sono permessa di contattarvi, dopo anni, perché il ricordo del sacrificio di questi uomini non venga dimenticato...». Comincia così l'email arrivata al Gazzettino ieri, trentunesimo anniversario dell'eccidio di Podrute, avvenuto appunto il 7 gennaio 1992. Una ricorrenza dispari sul calendario, dove magari può passare inosservata rispetto alla retorica dei decennali, ma non nel cuore di una famiglia ancora in attesa (insieme ad altre quattro) che venga data esecuzione alla sentenza del 2015, tanto definitiva quanto granitica nel condannare per «crimine di guerra» la Serbia e due suoi ufficiali, «essendosi concretizzato in un omicidio plurimo eseguito nei confronti di militari appartenenti a una missione di monitoraggio internazionale - che veniva svolta sul territorio della Repubblica Socialista Federale di Jugoslavia nell'ambito della European community monitor mission - e configurandosi per connotazioni di gravità tali da determinare una lesione dei diritti fondamentali della persona».
La strage fu perpetrata nei cieli della Croazia, in prossimità del confine con l'Ungheria.

I due elicotteri dell'Aviazione leggera dell'esercito italiano, sulle cui livree campeggiavano le insegne europee dell'operazione di pace, stavano sorvolando l'area per assicurare l'osservanza del cessate il fuoco stabilito alla fine del 1991, quando finirono nel mirino di due Mig-21 dell'Aeronautica militare jugoslava. Mentre AB-206 riuscì ad evitare il fuoco, AB-205 fu colpito da un missile aria-aria che uccise il comandante Venturini, il sergente maggiore Marco Matta, i marescialli capo Silvano Natale e Fiorenzo Ramacci, quasi tutti effettivi al 5° Reggimento di Casarsa Della Delizia (Pordenone), nonché l'osservatore francese Jean Luc Eichenne. Così come la famiglia Natale, all'epoca abitavano a Padova anche Isabella Venturini, la sorella Stefania e la mamma Silvana Moro, che dopo la tragedia si sono trasferite a Treviso, dove il 50enne Enzo aveva prestato a lungo servizio, prima di assumere il comando della base di Campoformido (Udine).


Isabella, com'era suo padre?
«Un uomo di una tale educazione che lo chiamavano il lord. Era una persona di grande cultura, amava molto stare con la sua famiglia. Al punto che ogni tanto ci permetteva di andare a trovarlo in missione. Da poco ero stata da lui in Jugoslavia e l'avevo visto molto teso. Mi diceva che la guerra nei Balcani era molto sottovalutata: a Fiume avevano sparato contro gli elicotteri, ma in Italia non se n'era parlato. Ricordo che mi aveva portato nel suo ufficio e mi aveva fatto vedere una cartina gigantesca, per spiegarmi come si sarebbe evoluto il conflitto secondo lui. Era preoccupato per i suoi uomini, tanto che quel giorno non sarebbe dovuto essere in volo: in quanto comandante, avrebbe potuto restare seduto alla scrivania, ma non aveva voluto lasciarli soli».


Non avevate paura per lui?
«Quello era il suo lavoro e noi non gli abbiamo mai fatto problemi. Papà amava mamma anche perché lo supportava senza mai tarpargli le ali. Del resto lui credeva in quello che faceva, nella pace e nella bandiera italiana».


È morto proprio il 7 gennaio, festa del tricolore.
«Un segno del destino. Ma non è l'unico in questa storia. Papà indossava sempre una collanina con la medaglietta della Madonna di Loreto, protettrice dei piloti. Alla partenza per la Jugoslavia dopo le feste di Natale, che aveva trascorso a casa con noi, quella catenina si è rotta. L'ho visto sbiancare, dispiaciuto perché non aveva il tempo di farla riparare, tant'è vero che è ripartito senza. La sera prima dell'abbattimento, l'abbiamo sentito al telefono. Papà ha detto a mamma: Ninìn, non vorrei mancare senza aver lasciato un segno. Poi le ha promesso che ci avrebbe richiamate l'indomani».


E invece?
«Quella telefonata tardava e tardava. Finalmente alle 14.30 l'apparecchio di casa ha squillato. Ha risposto mia sorella e mia mamma l'ha vista in difficoltà. Stefania con chi stai parlando?. Col cappellano militare. Metti giù. Mamma aveva già capito tutto, con una forza e una dignità incredibili: Ragazze, papà non c'è più. Abbiamo acceso la tivù e abbiamo letto le scritte in sovrimpressione: Abbattuto un elicottero in Jugoslavia. Quella sera si è tenuta una veglia nella cattedrale di Zagabria, dove sono stati celebrati i funerali senza bare, visto che sui corpi erano in corso le autopsie. Poi i feretri sono stati portati a Campoformido, per le esequie di Stato a Udine. Oggi papà riposa in Liguria, la sua terra di origine».


Al di là dell'immane dolore, quali problemi avete dovuto affrontare in questi 31 anni?
«Siamo tre donne molto forti e ci siamo sostenute in tutto. Ma il processo è stato molto faticoso per noi familiari delle vittime. Quando i nostri cari sono caduti, era stato dichiarato che la Comunità europea si sarebbe occupata di rendere loro giustizia. Ma così non è stato: noi parenti ci siamo dovuti arrangiare in tutto, da privati cittadini, per arrivare alla vittoria in Cassazione. Non è stato facile e non è ancora finita».


Perché?
«Abbiamo in mano una sentenza che incolpa la Serbia e i suoi due ufficiali, ma quel verdetto è rimasto sulla carta, anche perché lo Stato italiano non è mai intervenuto in nostro sostegno. Abbiamo speso decine di migliaia di euro per la causa, ma dai condannati non abbiamo ricevuto nulla. Sia chiaro, a farci male non è il mancato risarcimento, ma il tentativo di non riconoscere fino in fondo il sacrificio degli eroi di Podrute. Erano in missione di pace, dovevano monitorare il rispetto della tregua. Invece li hanno abbattuti in un agguato vile, li hanno aspettati al varco. Lo dimostra la registrazione del pilota Emir ii, agli atti del processo, quando chiede al suo comandante Dobrivoje Opai: Li ho qui davanti, cosa devo fare?. E quello: Oderi. Sa cosa significa in serbo? Scuoiarli. Ecco, visto che non l'ha fatto l'Europa, bisognerebbe che il Governo italiano battesse i pugni a livello internazionale. L'ho detto anche in commissione Difesa alla Camera, quando sono stata invitata ad aprile scorso».


Dimostrazioni di solidarietà?
«Tante dalla Croazia, che ogni 7 gennaio trasmette in diretta televisiva la cerimonia, a cui partecipa pure il presidente in carica. Ma anche in Italia, malgrado le mancanze ministeriali, ci sono stati vicini i sindaci, le associazioni, i cittadini: a papà e agli altri caduti sono intitolati monumenti, strade, piazze, scuole. Lunedì ci sarà la commemorazione solenne a Casarsa».


Dopo 31 anni, mentre a Est infuria un'altra guerra, cosa resta dell'eccidio di Podrute?
«Quel sacrificio non è stato vano, perché è servito a confermare l'indipendenza della Croazia, ora entrata pienamente in Europa. Per quanto riguarda noi, il ricordo è sempre vivo e la sofferenza è sempre uguale. L'unica cosa che ci rasserena è sapere che papà è morto sul suo elicottero e con i suoi uomini, come voleva».
 

Ultimo aggiornamento: 9 Gennaio, 11:06 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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