Stefania, la specializzanda che sceglie la Tanzania per superare le paure: «Ogni giorno scelgo di fare il medico»

Sabato 11 Novembre 2023 di Camilla De Mori
Stefania Liviero

UDINE -  In Tanzania, nell'ospedale di Tosamaganga, che macina tremila parti l'anno, Stefania Liviero si porterà «una valigia emotiva importante» con cui convivere nei sei mesi di specializzazione che ha scelto di trascorrere in Africa, con il Cuamm, in un presidio sanitario nel villaggio di Ipamba, nel distretto rurale di Iringa.

Udinese (per residenza e famiglia di origine) anche se ufficialmente nata a San Daniele, Stefania, 29 anni, è specializzanda in Ginecologia e ostetricia, alla fine del terzo anno. «Partirò il 14 novembre.

A Tosamaganga mi occuperò della sala parto, che in Africa negli ospedali è un'attività preponderante. Lì si fanno quasi tremila parti in un anno, mentre noi a Udine ne facciamo circa 1.500. La gestione dei parti a basso rischio lì viene fatta dall'ostetrica, mentre il medico interviene per le urgenze, anche di tipo ginecologico, e le complicazioni soprattutto».

Ma perché sei mesi in Africa? «Un po' si è unita la passione per l'ostetricia, che è la parte che mi piace di più, all'interesse che ho sempre avuto di conoscere un po' l'Africa e di fare un'esperienza di volontariato. Per me è la prima volta. Volevo farne una più corta da studentessa, ma con il Covid non ci sono riuscita. Quando sono entrata in specialità mi sono subito attivata per cercare di farla e grazie al Cuamm ci sono riuscita».

In Tanzania, Stefania resterà fino a maggio. Si vede come medico in missione anche in futuro? «Non so ancora bene dove localizzarmi nel futuro. Vediamo come va quest'esperienza, ma mi piacerebbe tornarci anche dopo, da specialista».

Qualche paura? «Ho paura di non essere all'altezza della mole di lavoro che ci sarà, ma ho anche voglia di mettermi alla prova. L'inglese in Tanzania non è così conosciuto e diffuso, parlano soprattutto lo swahili che dovrò imparare. È una sfida».

Per prepararsi, Stefania ha fatto una formazione approfondita con il Cuamm, «sia sulla parte organizzativa, per capire come funziona il sistema sanitario in Africa e come funziona il Cuamm, sia dei corsi dedicati in base alle specialità. Io mi sono concentrata sulle emergenze di ostetricia e su come affrontarle in Africa con i mezzi a disposizione lì». Nessuna paura del Coronavirus («Lo ho dimenticato»). «Mi preoccupa di più l'Aids. Dovrò stare attesa. L'Hiv è diffuso e bisogna munirsi di precauzioni e protezioni. Ho fatto una sfilza di vaccini».


Assieme all'inevitabile bagaglio emotivo di una ragazza di 29 anni che per sei mesi starà lontana da casa in un "altro mondo" che sa di ignoto, lei si porterà solo «due valigie spartane. Metà saranno di farmaci, sia da portare in ospedale sia per uso personale. Mi porterò di tutto». Ma confida che, dal suo Friuli, si porterà anche «un frico sottovuoto», per avere un po' di sapore di casa e, come coperta di Linus, «sicuramente un vaso di Nutella: ce lo chiede anche chi è lì a lavorare da tempo». Sei mesi «sembrano tanti, ma una volta lì passeranno veloci. Dormiremo nella guesthouse a due minuti dall'ospedale. La struttura sanitaria copre una zona rurale a 30 minuti di auto dalla città più grande: le donne arrivano nel presidio del Cuamm percorrendo chilometri a piedi per partorire». I suoi genitori «sono contenti per me. Non sono medici e immagino non capiscano fino in fondo le mie motivazioni, ma sono felici perché mi vedono felice e sanno che è quello che volevo fare da un po'. Perché ho fatto Medicina? Non me lo so spiegare neanche questo. Alle medie volevo fare la commessa o la segretaria e volevo frequentare lo Stringher, ma mia madre preferì mandarmi al Marinelli come mia sorella. Oggi come i miei colleghi, faccio tante ore di lavoro. Spesso ci sono anche momenti di sconforto. Ma è un lavoro che continuo a scegliere tutti i giorni. Non mi vedrei con un altro mestiere».
 

Ultimo aggiornamento: 16:46 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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