Il vescovo Tomasi: «Per ripartire serve un'economia umana e sostenibile»

Domenica 19 Aprile 2020 di Valeria Lipparini
Il vescovo di Treviso Michele Tomasi
In tempo di coronavirus, quando le difficoltà sembrano insormontabili e la paura del domani rischia di farci vedere una strada buia davanti a noi, arriva la voce del vescovo mons. Tomasi a donare nuova speranza. «Ripartire dall’impegno di tutti e di ciascuno per uno sforzo collettivo di creatività e di inclusione, di sviluppo e di condivisione, convinti che sia possibile un’economia che funziona proprio perché non rinuncia ad essere umana e sostenibile. E se non troveremo le ragioni per una grande collaborazione di tutti, se non saremo disposti a rivedere il fine e il senso del nostro stile di vita, sarà il sistema intero ad uscirne più debole e fragile, perché tutti siamo legati a tutti e non ci si salva da soli» ha detto il vescovo nel corso della messa concelebrata ieri, nel Battistero della Cattedrale, con il vicario generale, mons. Adriano Cevolotto, e con il proprio segretario, don Matteo Andretto, presenti  le poche persone che lo accompagnano in queste occasioni.
LA CELEBRAZIONE
La celebrazione della domenica “in albis” della Divina misericordia, voluta da papa Giovanni Paolo II esattamente 20 anni fa, che ricorre la seconda domenica dopo Pasqua, è stata trasmessa in diretta su Antenna 3 e in streaming sui siti diocesani. 
Nell’omelia il vescovo ha parlato di speranza, di persone nuove, capaci di dare forma alle relazioni, nella gioia e nella gratuità, in famiglia, nella chiesa, nella società, sapendo lavorare per “un’economia che funziona proprio perché non rinuncia ad essere umana e sostenibile”, disposti a “rivedere il senso e il fine del nostro stile di vita”. Mons. Tomasi, proprio perchè alla guida della chiesa locale, sa quanto l'epidemia stia modificando la vita dei trevigiani. Non soltanto per le restrizioni e la necessità di restare in casa, ma anche per le difficoltà che molte famiglie si trovano a fronteggiare, con lavori che diventano improvvisamente precari o, addirittura, cessano del tutto. Per spiegarlo usa le parole del vangelo di Giovanni che racconta dei discepoli ancora chiusi in casa per paura e di Gesù che sta in mezzo a loro donando una capacità e un compito nuovo, quello del perdono.« Il frutto di questa novità è “una speranza viva”, la capacità di vedere anche nella prova che ci è dato di poter vivere e amare, e di credere che l’orizzonte stesso della morte non è il muro insuperabile, il buio che assorbe ogni bellezza, ma il passaggio ad una vita di eterna consolazione e luce» scandisce il vescovo. Perchè il traguardo è quello di “dare una forma nuova alle nostre esistenze, alle nostre relazioni sociale ed economica”.
L'INVITO
Il vescovo, pur non sapendo che forma assumerà la cosiddetta “fase due”, esorta a ripartire sul modello della prima comunità cristiana. «Non so come sarà il nostro mondo nel futuro prossimo – ha detto - non so se saremo capaci di imparare lezioni di amicizia, di collaborazione, di umanità da quanto stiamo vivendo. Ma il compito della comunità dei cristiani è segnato: dobbiamo ricominciare dalla frazione del pane, dall’Eucaristia. E dalla famiglia,  il luogo della vita assieme, del dono gratuito senza riserve, della fatica e della benedizione delle relazioni lunghe, fedeli, affidabili, gratuite. Il luogo del condividere e del pregare, il luogo della celebrazione della vita, il luogo della gioia e della speranza».
 
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