TREVISO - Vincenzo Consoli è stato rinviato a giudizio. Il processo per aggiotaggio, ostacolo alla vigilanza bancaria e falso in prospetto inizierà il prossimo 10 aprile, di sabato, al di fuori del normale calendario delle udienze collegiali. Un segnale preciso da parte del tribunale di Treviso: si tratta davvero di una corsa contro il tempo per cercare di arrivare a una sentenza di primo grado prima di novembre, quando scatterà la prescrizione per tutti i reati contestati all'ex amministratore delegato ed ex direttore generale di Veneto Banca, che anche ieri non era presente in aula.
LE PARTI CIVILI
Sul fatto che Consoli non potesse essere l'unica persona a conoscenza dello stato in cui versava Veneto Banca prima del crac, decretato nel giugno del 2017, i risparmiatori si erano più volte espressi durante l'udienza preliminare, chiamando in causa sia tutti gli altri amministratori dell'ex popolare che i sindaci.
«L'uomo solo al comando non va bene come impostazione - ha affermato uno dei legali dei risparmiatori truffati, l'avvocato Luigi Fadalti -.
LE ACCUSE
Vincenzo Consoli è accusato di aver comunicato a Bankitalia, tra il 2012 e il 2013, un patrimonio gonfiato di Veneto Banca: dai 2,3 miliardi di euro dichiarati dovevano essere tolti 430 milioni di azioni baciate, 131 milioni di accantonamenti su rischi aggiuntivi e ulteriori perdite su crediti per 1,1 miliardi, oltre a 600 milioni di euro in più di crediti in sofferenza.
Se contabilizzati, il patrimonio da 2,3 miliardi sarebbe sceso a 613 milioni. Sull'ex popolare si era accentrato l'interesse degli ispettori della Banca d'Italia che avevano effettuato un accesso ai bilanci il 15 aprile e 9 agosto 2013, evidenziando come il valore delle azioni fosse «incoerente con la situazione finanziaria della società e con il contesto economico».
Consoli avrebbe insomma approfittato dell'insufficiente attività di controllo svolta dal collegio dei sindaci e dalla società incaricata della revisione dei bilanci, la PricewaterhouseCoopers. L'ex Ad, consapevole di questa situazione che ha portato danni ai sottoscrittori per oltre 107 milioni di euro, avrebbe allora indotto in errore le direzioni territoriali, funzionari e impiegati di banca, a cui spettava il compito della collocazione delle azioni.