Corpo da donna, ma green pass da uomo: Anna e l'odissea di una transizione in epoca Covid

Giovedì 25 Novembre 2021 di Elena Filini
La dura storia di transizione di una 28enne

TREVISO - «Ho iniziato un percorso di transizione. E oggi la pandemia mi obbliga a mettere in piazza una storia intima, sofferta e dolorosa». Un 25 novembre. E tante forme di violenza. Alcune evidenti, altre più nascoste, ma non meno profonde. Anna (nome di fantasia), trevigiana, 28 anni, sta vivendo un passing, ossia la transizione da uomo a donna.

E' seguita da un legale, da una psicologa e da un'endocrinologa, ma il percorso in Italia è di almeno un anno e mezzo.

LE DIFFICOLTA'
Oggi il suo aspetto non corrisponde al nome sul documento di identità. E ogni volta che le si chiede di esibire il Green pass è una via crucis. «Devo spiegare ad un estraneo tutto il mio vissuto. Devo affrontare gli sguardi e a volte comportamenti discriminanti. Mi chiedo se non sarebbe stato ugualmente efficace inserire il codice fiscale anzichè il nome all'anagrafe». Ci sono donne che lo sono anche se l'immagine restituita dallo specchio è diversa. E per cui la scelta di diventare se stesse è particolarmente dura e dolorosa. In questo viaggio, in Italia ancora molto lungo e complicato, nel ritrovarsi si è inserita la pandemia. Che ha fatto sentire soli e discriminati i più fragili. «Il mio percorso di transizione, a Treviso, è stato tutt'altro che facile. Non riusciamo ad avere riferimenti sicuri nel pubblico, ma per fortuna l'associazione Lgbt mi ha dato supporto. Questa transizione mi ha ridato la vita. Anche se mi conoscevo da sempre sono una persona nuova. Ho riacquistato credibilità agli occhi degli altri». Una famiglia di supporto, una psicologa, un'endocrinologa e un legale che stanno seguendo il percorso. E oggi un nuovo lavoro. «Avevo un impiego nell'azienda di famiglia, ma ho voluto staccarmi. Dopo moltissimi colloqui, quando stavo per perdere la speranza, ho trovato lavoro come segretaria».

IL PROBLEMA
Il problema di Anna è che il suo aspetto non corrisponde alla carta d'identità. «Il processo burocratico dura quasi un anno e mezzo per far sì che un giudice possa redigere dei documenti con il sesso opposto, e non è scontato perchè il giudice potrebbe decidere di prorogare la transizione di altri 6 mesi. Una pila di carte enormi, tantissimi documenti e sperare che il giudice sia benevolente». In questa situazione di indeterminatezza si innesta la pandemia: Anna ha fatto le vaccinazioni ed è in possesso di Green pass, ma ogni volta che le viene controllato esce il nome anagrafico. «La gente ti giudica: più di una volta mi è stato detto mi ha dato il green pass sbagliato e io sono costretta a raccontare la mia storia, in ogni luogo e a ogni sconosciuto». Al cinema, al ristorante, in aeroporto, a teatro. «La tua vita è un po' in balia di questo gioco di sguardi. Se per la gente il problema è il Green pass, per noi il problema è che il nome non corrisponde alla nostra nuova identità. E che la nostra privacy viene completamente violata».

GLI AIUTI
Anna racconta di come allo hub vaccinale abbia trovato sostegno e disponibilità, di come sul luogo di lavoro le consentano di svolgere in prima persona il controllo automatico del Green pass e di come si sia potuta creare le password aziendali con il nome d'elezione. «In Inghilterra e in Spagna si può cambiare il proprio nome con una raccomandata, mentre in Italia bisogna attendere anni. Così noi ragazze transessuali non riusciamo a vivere una vita decente anche a livello burocratico. E con la pandemia la discriminazione è diventata un fatto quotidiano. Il 25 novembre ricordatevi anche di noi, perchè anche gli outing forzati sono una forma di violenza». Il coordinamento Lgbte di Treviso conferma come la pandemia abbia fatto d detonatore a dinamiche già di per sè estreme. «Ci sono molti tipi di violenza nei confronti della disforia di genere. In questo momento il più grande disagio sperimentato dalle persone transessuali come Anna riguarda il dover rivelare la propria condizione in tutte le situazioni di diritto civile» afferma Giorgio Romanello «Una sorta di coming out di tipo forzato che non solo non aiuta il percorso, ma aumenta il senso di disagio delle persone in un momento molto delicato della loro esistenza».
 

Ultimo aggiornamento: 13:33 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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