Stroncato a 7 anni da distrofia muscolare:
«Amava sentire gli altri bambini giocare»

Domenica 16 Settembre 2012 di Luciano Beltramini
Alex Di Sette e l'ospedale di Montebelluna
TREVISO - Mio figlio ha cominciato a vivere il giorno in cui morto. A parlare Annanunzia Palladino, 32 anni, mamma di Alex Di Sette, il bambino di sette anni stroncato da una distrofia muscolare congenita che si era manifestata in tutta la sua gravità circa sei mesi dopo la nascita. Da quel giorno per questa mamma coraggio è iniziata una vera e propria battaglia contro una malattia che non dava speranze.



A farla andare avanti la grande fede e l'aiuto di tante persone. Anche se un po’ in ritardo si erano messe in gioco pure le istituzioni che le hanno assicurato, dopo anni di battaglie, un appartamento popolare al pianterreno in via Toronto a Caonada di Montebelluna e un supporto assistenziale ed economico per l'utilizzo di macchinari molto sofisticati e delicati. «Da quando ci eravamo trasferiti in via Toronto, in un appartamento al primo piano, mio figlio aveva trovato una certa tranquillità. Sentiva le voci dei bambini che giocavano nel cortile e gli si illuminavano gli occhi. Perchè Alex parlava con gli occhi. Era il suo unico mezzo di comunicazione, io ero le sue braccia, le sue gambe e la sua voce. La sua mente era prigioniera in un corpo che non gli trasmetteva segnali. Voleva soprattutto sentire le voci dei suoi coetanei che evidentemente lo stimolavano sopra ogni cosa, come se si sentisse partecipe dei loro giochi».



La mamma, con la voce rotta dal pianto, ricorda: «Un giorno chiusi la porta finestra dell'appartamento pensando che le grida dei bambini potessero dargli fastidio e lui come risposta si è messo a piangere disperatamente, non era mai successo prima. Ho capito che aveva bisogno di comunicare e i suoi occhi, così vivi, sereni, mi hanno dato la forza di lottare e di affrontare una battaglia già persa in partenza».



Poi, con dolcezza: «Come tutti i bambini amava i cartoni animati e la musica». La mamma, che in queste ore drammatiche vive con la presenza costante e assidua dei suoi genitori, dice: «Per quasi otto anni mi sono sentita, se mi si passa l'affermazione, una donna agli arresti domiciliari. Per un figlio si fanno tutti i sacrifici di questo mondo. La mia però alla fine è stata una battaglia che non ha portato i frutti sperati».



Ci tiene, però, a ringraziare tutti coloro che le sono stati vicini. «Una menzione particolare vorrei rivolgerla ai medici del reparto di rianimazione dell'ospedale di Montebelluna. Sono stati meravigliosi, hanno seguito Alex, che ormai non riusciva più a respirare con il supporto delle macchine, fino all'ultimo secondo della sua vita. Sono stati di una bontà e di una disponibilità incredibili. Grazie di tutto a questi angeli che spesso vengono dimenticati». L’ultimo addio ad Alex, domani alle 15.30 nella chiesa di Caonada.
Ultimo aggiornamento: 17 Settembre, 17:36 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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