Sparatoria davanti a casa, 37enne ferito da due colpi di pistola: indagato il cugino. Sarebbe già fuggito in Kosovo

L'agguato era avvenuto la mattina del 7 marzo scorso: Hajdin Kukiqi, operaio kosovaro era stato ferito al fianco e a una gamba da due persone in scooter. Subito aveva preso quota la pista della faida familiare: "E' stato un mio parente"

Domenica 31 Marzo 2024 di Valeria Lipparini
Il ferito Hajdin Kukiqi, 37enne kosovaro

CHIARANO (TREVISO) - C’è un indagato per l’agguato a colpi di pistola compiuto lo scorso 7 marzo, a Fossalta Maggiore, frazione di Chiarano. «So chi ha sparato. Sono sicuro che volesse uccidermi». Hajdin Kukiqi, il kosovaro 37enne che era stato raggiunto da due colpi di arma da fuoco, davanti a casa sua, lo aveva detto chiaramente ai carabinieri dal suo letto di ospedale, appena era stato dichiarato fuori pericolo. «È stato un mio parente» aveva dichiarato.

Le indagini non hanno escluso alcuna pista ma dopo i tanti riscontri, si sono indirizzate verso il cugino di Kukiqi. Che risulta indagato per tentato omicidio. L’uomo è a tutt’oggi latitante, potrebbe essere addirittura rientrato in Kosovo. È stata aperta la caccia al latitante, è stata diramata la ricerca anche all’estero ed è stata richiesta la collaborazione delle forze dell’ordine internazionali.

L’uomo risiedeva a Salgareda ed era già fuggito dopo l’emissione di un ordine di carcerazione per cumulo pena a suo carico in quanto, nell’ottobre del 2017, era finito in carcere per spaccio di stupefacenti e detenzione illegale di arma da fuoco. Per quei fatti era stato condannato a 2 anni e 4 mesi di reclusione ed espulso dall’Italia. Era stato poi condannato di nuovo a 1 anno e 4 mesi per aver violato il divieto di rientrare in Italia. Così, prima di finire dietro le sbarre, si era dato alla macchia entrando nell’elenco dei latitanti.

Dietro l'agguato un regolamento di conti

I carabinieri stanno stringendo il cerchio attorno all’indagato, che sarebbe rientrato in Italia per compiere il regolamento di conti con il suo parente. Tra i due c’era una accesa rivalità. L’uno - quello ferito a colpi di pistola - ben integrato, con un lavoro stabile e una famiglia - l’altro, invece, che risulta non aver mai filato dritto. Dissapori che duravano da anni e che potrebbero aver dato vita a una faida familiare. In un clan molto solido, molto chiuso, dove le regole sono ferree. Forse nasce proprio da qui la ragione di un agguato che voleva lavare nel sangue l’onta subita.

I carabinieri che indagano, coordinati dalla Procura della Repubblica, stanno cercando ulteriori riscontri che confermino la presenza del cugino nel luogo dell’agguato, alle 7 di mattina, in sella a uno scooter Yamaha T-Max. «Sono uscito di casa per andare a lavorare, come ogni mattina. Ho visto con la coda dell’occhio lo scooter e mi sono detto che era strano. Non ci sono moto di solito a quell’ora. Poi, ho pensato che fossero studenti e mi sono avviato alla macchina, parcheggiata a poche decine di metri da casa mia. Il primo colpo mi è stato sparato da dietro e mi ha centrato su un fianco. Allora mi sono girato e mi hanno colpito una seconda volta alla gamba» aveva raccontato al Gazzettino Kukiqi, spiegando che era stato sfiorato da un terzo colpo che lo avrebbe mancato. Sulla scena dell’agguato, però, sono stati trovati e repertati due bossoli, sparati da una pistola calibro 7,65. Il 37enne era stato operato subito dopo l’agguato e i medici gli avevano estratto dall’addome un proiettile. L’altro, quello che lo aveva colpito alla gamba, era uscito autonomamente procurandogli un vasto sanguinamento. Ma, fortunatamente, si era ripreso bene ed era stato dimesso dall’ospedale pochi giorni dopo l’agguato.

Il complice in sella al motorino

Il cugino era entrato in azione con un complice: erano in due in sella allo scooter la mattina della sparatoria. E aveva tutta l’intenzione di uccidere. Di questo ne era convinto, fin da subito, il procuratore Marco Martani. Che aveva detto: «È stato un agguato e avevano l’intenzione di uccidere. I bossoli trovati sulla scena sono quelli di una pistola calibro 7.65 e potenzialmente i colpi sparati potevano risultare fatali». Il 37enne vive a Chiarano, con la moglie e tre bimbi ancora piccoli. Lavora alla Lafert di Noventa di Piave, azienda che si occupa della realizzazione di motori elettrici, e ha alle spalle qualche piccolo precedente penale ormai dimenticato. Il giorno prima di essere dimesso aveva confidato ai parenti che lo erano andati a trovare: «Non ho paura a tornare a casa». Attende, adesso, che la giustizia chiuda il cerchio su chi lo voleva morto.

Ultimo aggiornamento: 17:01 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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