PAESE - Aveva insultato la giunta su Facebook.
LA VICENDA
Il motivo? All’uomo sarebbe arrivata una comunicazione dei servizi sociali in cui si diceva che, a causa dei problemi di salute della compagna «vogliamo aiutarvi facendovi pagare la retta minima per il figlio se lo iscrivete al nido del Comune». A fronte di questa, il 43enne avrebbe quindi disdetto l’iscrizione del figlio in una struttura privata, ma poi aveva ricevuto una comunicazione in cui lo si informava che la giunta comunale non aveva accettato la richiesta. Da qui gli insulti social all’indirizzo della stessa giunta, che oltre a Pietrobon aveva come assessori Katia Uberti, l’attuale sindaco, Martino De Marchi, Maurizio Severin, Camillo Silvello e Federica Morao. Il 43enne aveva argomentato su Facebook che «il nido privato era favoloso e vicino a casa. Siete delle m..., non tanto per i 460 euro al mese ma per la figura fatta con le vecchie maestre e per il disagio che mio figlio è ora costretto ad affrontare a causa delle vostre belle parole e false illusioni, senza pensare alle conseguenze che portano».
LA DENUNCIA
Il Comune aveva deciso di denunciarlo per diffamazione. E nei giorni scorsi l’uomo ha ricevuto il decreto penale di condanna, emesso dal giudice per le indagini preliminari Piera De Stefani. «Accettiamo ogni tipo di critica, ma questa tendenza all’insulto che si sviluppa all’interno delle dinamiche soprattutto nei social network è inaccettabile -mette in chiaro il sindaco Katia Uberti, rappresentato dall’avvocato Elisa Polesel- Nel caso di specie sembra che sia stato commesso un sopruso, invece c’erano delle regioni tecniche che avevano indotto la giunta a ratificare il diniego. Criticare è un diritto del cittadino, la denigrazione è l’insulto sono invece un’altra cosa». Non è la prima volta che il Comune di Paese presenta una denuncia contro commenti al vetriolo apparsi su internet. Qualche tempo fa era toccato a un uomo che, sempre su Facebook, aveva ventilato degli interessi privati di un membro della giunta in un concorso per assunzioni, scrivendo che «c’era odore di mazzette». E anche in quell’occasione era scattata la denuncia per diffamazione.