Gloria morta con il suicidio assistito, il medico che l'ha seguita: «Sensi di colpa? Li avrei se non l'avessi aiutata»

Martedì 25 Luglio 2023 di Mattia Zanardo
Gloria morta con il suicidio assistito, il medico che l'ha seguita: «Sensi di colpa? Li avrei se non l'avessi aiutata»

TREVISOPiergiorgio Welby e un anno fa aveva supervisionato la procedura tecnica scelta da Federico Carboni, il primo italiano ad aver chiesto e ottenuto il suicidio assistito. Il dottor Mario Riccio, anestesista e rianimatore, ex responsabile del reparto dell’ospedale di Cremona, ha seguito fin dall’inizio anche “Gloria”, la donna trevigiana, la seconda malata terminale a porre fine alle sue sofferenze in modo autorizzato. «Questo caso presenta due elementi di novità significativi», spiega.

Quali sono? 

«Il primo è che l’Ulss di Treviso ha riconosciuto che le cure oncologiche a cui era sottoposta la signora devono essere equiparate a un trattamento sanitario di sostegno vitale (uno dei quattro requisiti stabiliti dalla Corte costituzionale per accedere al suicidio assistito, ndr). Questo amplia di molto i casi di eventuale applicazione: il 70% dei richiedenti è costituito proprio da pazienti oncologici».

Finora ci si riferiva ad un novero ristretto di terapie salvavita.

«Quando venne emessa la sentenza, ai tempi del caso di Dj Fabo, tutti pensavano a persone attaccate ad un ventilatore, come Piergiorgio Welby, o tenute in vita da una nutrizione artificiale, come per Eluana Englaro. Non a caso, Fabo comprendeva entrambe queste situazioni. Per la signora Gloria, è stato riconosciuto il fatto che, se avesse interrotto le terapie oncologiche, la sua aspettativa di vita si sarebbe ridotta notevolmente».

Il secondo elemento?

«L’Ulss ha fornito i mezzi materiali, cioè i farmaci e le apparecchiature, per procedere al suicidio medicalmente assistito.

Nel caso avvenuto l’anno scorso nelle Marche, “Mario/Federico” ha dovuto comprarsi da sé i farmaci e la pompa infusionale. È il principio in sé, secondo cui è il sistema sanitario nazionale a farsene carico, ad essere importante. Secondo alcuni, dovrebbe fornire anche il personale».

Potrebbe costituire un precedente?

«In Italia la sanità è regionalizzata e quindi una Ulss o un altro ospedale potrebbero non fornire i mezzi o magari fornire anche il personale. Ma è sicuramente un importante passo avanti».

A suo giudizio, servirebbe normativa più precisa?

«Non lo dico io, ma la Corte costituzionale: occorrerebbe una legge organica in materia. Stante l’attuale orientamento politico, però, mi pare difficile che questo Parlamento promulghi una legge sull’eutanasia, come ad esempio, ultima in ordine di tempo, ha fatto la Spagna. In questo senso, va evidenziata la sensibilità in questa vicenda della Regione Veneto».

Che persona era Gloria? 

«Una persona semplice, ma molto determinata. Era molto preoccupata che la sua condizione di salute potesse costringerla a non poter più esercitare il suo diritto, rendendola incapace di intendere e volere o facendole perdere l’uso delle mani e quindi la capacità di azionare la flebo, come ha fatto. Questo la preoccupava molto. Dunque appena sono arrivati il nulla osta e la strumentazione, ha voluto agire».

Nell’accompagnare al suicidio assistito, avverte sensi di colpa?

«È esattamente il contrario: li avvertirei se non lo facessi. Ritengo sia un dovere morale del medico sostenere il paziente che, in determinate condizioni, chiede di porre fine alla sua vita. Oggi questo in Italia è possibile solo come assistenza al suicidio, come nel caso di Gloria e come è stato un anno fa per Mario/Federico».

E se domani si scoprisse una cura?

«La medicina progredisce, è evidente: solo un secolo fa l’80% di chi aveva un attacco di appendicite moriva. E tutti speriamo che si possano trovare cure per una condizione come quella di Gloria. Ma sarebbe illusorio sperare in soluzioni miracolistiche. Parliamo di anni di attesa. Sia chiaro: Gloria conosceva molto bene la sua situazione e si è curata in tutti i modi fin quando ha potuto, sottoponendosi a cicli di terapie molto impegnativi. Per gli stessi curanti, però, non avrebbe avuto più senso proseguire con le terapie. Non c’erano neppure prospettive di trattamenti sperimentali».

Ultimo aggiornamento: 07:13 © RIPRODUZIONE RISERVATA
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