Treviso, Sabrina Dei Rossi: «Io, avvocata, difendo gli uomini violenti per dovere ma non li giustifico»

Sabato 23 Dicembre 2023 di Maria Elena Pattaro
Sabrina Dei Rossi, l'avvocata, il caso che ha seguito di Fahd Bouichou

TREVISO - «Ho difeso uomini che hanno ucciso le loro compagne. Eppure non li ho mai giustificati. E il dilagare dei femminicidi, da donna e da mamma, mi preoccupa. Ma la giustizia da sola non basta ad arginare questa piaga, serve una rivoluzione culturale». L’avvocata trevigiana Sabrina Dei Rossi, 55 anni, nei suoi quasi trent’anni di carriera, si è occupata di uno dei femminicidi più raccapriccianti che la Marca abbia conosciuto. Ha difeso Fahd Bouichou, il giovane marocchino che nel 2009 sgozzò la compagna Elisabetta Leder, 36 anni, e la loro figlioletta Arianna, di un anno e mezzo.

Un delitto che gli è costato l’ergastolo. Il legale assiste anche Sergio De Zen, il 74enne di Maser che lo scorso settembre pugnalò a morte la compagna disabile per poi consegnarsi ai carabinieri. 


Non deve essere facile da donna difendere un uomo che ha ucciso un’altra donna...
«In realtà nella mia professione non faccio mai distinzioni di genere. Ho il massimo rispetto della vita umana. In questo mi sento molto simile a un chirurgo: una volta che ti trovi un paziente sotto i ferri non fai distinzioni di nessun tipo, pensi solo a salvarlo. Lo stesso vale per me: quando accetto un caso vado fino in fondo e mi impegno al massimo per assicurare ai miei assistiti la miglior assistenza legale». 


Ha mai rifiutato casi da Codice Rosso?
«Sì, non riesco a difendere chi è accusato di pedopornografia e di violenze sessuali su minori. Sono fattispecie di reati per i quali assisto semmai le persone offese. È un mio limite. Quando la violenza riguarda dei bambini rimango sempre molto turbata e questo mi impedirebbe di fare il mio lavoro con lucidità». 


Nel duplice omicidio di Castagnole però una delle vittime era una bambina...
«In quel caso sono riuscita a difendere Bouichou perché l’ho conosciuto e ho percepito in lui un’azione nata dalla disperazione umana non da una propensione alla violenza. Non l’ho mai giustificato, anzi l’ho aiutato a prendere coscienza del crimine orribile che aveva commesso». 


La scelta di difenderlo le era costata all’epoca molte critiche. Come le ha affrontate?
«Ricordo bene di essere stata attaccata duramente. Ho cercato di non lasciarmi scalfire ricordando a me stessa e ai miei detrattori che in uno stato democratico tutti hanno il diritto a essere difesi. Anche chi commette i peggiori crimini». 


Chi uccide la donna che dice di amare si può redimere?
«È difficile rispondere. Ogni caso è una storia a sé. Bouichou, che sta scontando l’ergastolo, sta facendo un percorso di consapevolezza. Chi come lui e come De Zen non ha un pregresso di violenza all’inizio è traumatizzato. Poi col tempo iniziano a guardare in faccia il delitto e a comprenderne la gravità. Il terzo passo è imparare a conviverci». 


Nella sua carriera, comunque, ha difeso anche molte donne maltrattate. Cosa va migliorato per garantire maggiori tutele?
«Abusi e molestie a volte sono difficili da provare, soprattutto se i fatti sono avvenuti in assenza di testimoni e senza referti medici o altri riscontri. Motivo per cui le donne si sentono sole e scoraggiate. Se poi i tempi della giustizia fossero più veloci, si potrebbero evitare certe escalation. Ma la giustizia da sola non basta: va rafforzata nel territorio la rete di presìdi in grado di intercettare le avvisaglie e aiutare le vittime. E serve un cambio di mentalità». 


Che cosa auspica dunque?
«Spero che si introduca nelle scuole l’educazione all’affettività, alle emozioni e al rispetto dell’altro. Agli uomini dobbiamo insegnare soprattutto a gestire la propria rabbia. Molti non accettano un rifiuto e c’è chi arriva persino a uccidere perché non accetta che le donne siano libere di autodeterminarsi». 

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