Blitz dei Nas nel laboratorio cinese sequestrati: duemila camici protettivi

Domenica 7 Giugno 2020 di Alberto Beltrame
CARABINIERI I camici posti sotto sequestro dai Nas
TREVISO - I carabinieri del Nas di Treviso hanno posto sotto sequestro gli oltre 2mila camici trovati all'interno del laboratorio tessile cinese, sottoposto a controllo la scorsa settimana, che ha portato alla denuncia del titolare per impiego di manodopera clandestina. Alcuni lavoratori, che abitavano all'interno dello stabilimento di Paese, in zona industriale, erano infatti senza permesso di soggiorno. Il sequestro dei camici (venduti come Dpi), del valore di oltre 50mila euro, è scattato a causa delle condizioni igienico sanitarie precarie della struttura: i dispositivi di protezione individuale, utilizzati proprio durante l'emergenza covid, devono essere infatti confezionati in ambienti che precludano la possibilità di contaminazioni. Figuriamoci nella sporcizia che imperava nel capannone, dove accanto alle cucitrici c'erano stanze da letto e cucine, senza alcuna divisione tra le diverse aree di lavoro.
IL BLITZ
Una situazione davvero al limite quella riscontrata dai carabinieri del Nas di Treviso durante il blitz effettuato nel laboratorio tessile gestito da un 36enne di origini cinesi, denunciato per impiego di manodopera clandestina e per una sfilza di violazioni sulle norme di sicurezza e salute sul lavoro. Due degli operai impiegati erano infatti privi di permesso di soggiorno e vivevano, assieme ad altri 6 connazionali, nello stesso impianto dove erano impiegati in cui gli ambienti di lavoro (con le vie di uscita completamente ostruite) si confondevano con quelli ad uso cucina e dormitorio (sporchi e con collegamenti elettrici raffazzonati). Il controllo è scattato nei giorni scorsi, durante i quali i carabinieri del Nas hanno potenziato, in concomitanza con la riapertura di molte attività produttive a seguito del periodo emergenziale legato all'emergenza coronavirus, le ispezioni su tutto il territorio. I militari, entrati in azione assieme ai colleghi della compagnia di Montebelluna e al personale dell'Usl 2, si sono concentrati sulla ditta di abbigliamento del 36enne. Qualcosa non tornava. Al momento del blitz c'erano 8 persone che lavoravano ai banconi, ma dopo un primo controllo due di loro sono risultate non solo prive di contratto e quindi totalmente in nero, ma anche senza alcun permesso di soggiorno. Erano di fatto clandestini. Le condizioni igieniche, sottolineano in una nota i carabinieri del Nucleo Antisofisticazione e Salute di Treviso, erano pessime, con cibo e spazzatura posizionati a ridosso degli attrezzi da lavoro. Inoltre le vie di movimentazione e le uscite di sicurezza erano del tutto ostruite: fosse scoppiato un incendio, l'edificio si sarebbe trasformato in una trappola mortale. 
IL DORMITORIO
Una parte dell'immobile, dove sono stati trovati tessuti e prodotti finiti, tra cui anche camici che sarebbero stati rivenduti come dispositivi di protezione individuale, era stata trasformata in zona abitativa: accanto alle macchine da cucire c'erano le stanze da letto (con materassi sistemati sopra semplici bancali di legno), la cucina (proprio a due passi dalla zona produttiva) e persino la lavanderia. Il tutto allestito «con modifiche arbitrarie dell'impianto elettrico (cavi interrotti, giunzioni posticce con nastro adesivo, spine collegate a prese multiple) - hanno sottolineato i carabinieri del Nas di Treviso -, e la rimozione delle porte tagliafuoco, con rischio concreto per l'omissione delle misure di prevenzione incendi». I carabinieri del Nas, nei giorni scorsi, hanno posto sotto sequestro altre 3mila mascherine chirurgiche che un importatore veneziano, una donna residente nel comune di Mira, aveva fatto arrivare dalla Cina senza però inviare alcuna certificazione, come previsto dalla legge, al Ministero della Salute. 
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