TREVISO - Il caro-energia e quello dei carburanti, la crescente riduzione delle importazioni e delle esportazione da e per le aree interessate, persino il mancato arrivato dei turisti: la guerra tra Russia e Ucraina sta avendo un pesante impatto anche sul sistema produttivo della Marca.
SOTTO PRESSIONE
Per entità delle ripercussioni, Treviso è la quarta provincia in Veneto, che, a sua volta, è la terza regione in Italia in questa speciale, e poco confortante, graduatoria. Sono 18.581 le imprese trevigiane messe sotto pressione, a causa delle violente sollecitazioni nell'offerta e nei prezzi dei beni provocate dal conflitto: il 98,5% di queste realtà sono piccole e medie e, nel complesso, occupano quasi 116.600 persone. Primo, più immediato effetto, l'ulteriore impennata dei rincari per elettricità e gas indotta dalle ostilità e dalle conseguenti sanzioni internazionali alla Russia: a farne le spese - in senso letterale - sono soprattutto i settori a più alto consumo energetico: dalla metallurgia alla petrolchimica, dal vetro e dalla ceramica alla carta, nella Marca contano 519 imprese per 10.185 dipendenti. Aziende cosiddette energy intensive tra le quali, come ricorda l'associazione artigiana, sono sempre più numerosi i casi in cui il divario tra costi e ricavi sta diventando insostenibile, costringendo al fermo dell'attività. «A due anni dal lockdown sanitario, siamo arrivati al lockdown energetico - sottolinea con amarezza Oscar Bernardi, presidente di Confartigianato Imprese Marca Trevigiana -. Il conflitto in Ucraina ha reso evidente che il nostro Paese manca di una politica energetica e a pagarne i costi sono le micro e piccole imprese. Va affrontata la complessa regolazione del settore elettrico nazionale e contemporaneamente quella del mercato europeo per poter applicare un tetto al prezzo del gas, così come va incentivata la produzione di energia da rinnovabili».
IMPORT ED EXPORT
Non migliore la situazione riguardo all'aumento dei prezzi dei carburanti, nonostante le recenti misure di calmierazione varate dal governo: com'è facile intuire, a soffrirne in misura maggiore è il trasporto merci e persone, nella Marca vale a dire 1.637 ditte e 10.349 addetti. Ancor più numerosa la platea toccata dalla carenza di materie prime, determinata dalla frenata delle importazioni provenienti dal teatro di guerra: in provincia si parla di 10.552 imprese con poco meno di 50mila lavoratori, in particolare nei comparti dell'alimentare, dei metalli e delle costruzioni. In direzione opposta, ci sono anche molte aziende nostrane che esportano verso l'Ucraina e la Russia: 1.750 quelle più esposte - soprattutto nel campo della moda e dei macchinari - con 25.880 occupati, in base alla stima di Confartigianato, che ora devono fare i conti con le restrizioni o l'impossibilità fisica di inviare merci e servizi in quei paesi.
Non solo, i russi costituivano anche una voce non trascurabile del turismo diretto in Veneto e anche della Marca, specialmente in proporzione alla spesa turistica. Flussi oggi, naturalmente, prosciugati. A subirne il contraccolpo, 4.113 attività dell'alloggio e della ristorazione e oltre 20mila addetti. «I maggiori costi pagati dalle imprese - ribadisce Bernardi - sono gonfiati da una più alta tassazione dell'energia che, non rispettando il principio chi inquina paga, penalizza maggiormente le piccole imprese, come nel caso dell'elettricità».