Effetto pandemia: crollano gli affitti, boom di locali in centro

Sabato 7 Novembre 2020 di Paolo Calia
Piazza dei Signori
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TREVISO - Il lockdown di primavera ha “regalato”, se così si può dire, un visibile calo degli affitti chiesti per i pubblici esercizi di Treviso. E non a caso, da maggio a oggi, è stato un fiorire di inaugurazioni e tagli di nastri, l’ultimo proprio la scorsa settimana con la riapertura dello storico Bar davanti al municipio di Ca’ Sugana, chiuso a fine aprile e ripartito con una nuova gestione. «Sono anche questi gli effetti della crisi - ammette Dania Sartorato, presidente della Fipe, sigla che riunisce la maggior parte dei pubblici esercizi della provincia - piuttosto di tenere vuoti i locali, tanti proprietari decidono di abbassare le pretese. E anche a noi risulta che i canoni d’affitto, in molti casi, si siano abbassati. Bisogna anche dire che negli ultimi mesi praticamente tutti i contratti, almeno per il nostro settore, sono stati rivisti al ribasso». Questa tendenza però non basta per parlare di ripresa. La situazione resta a un passo dal dramma nonostante le riaperture: «Secondo le proiezioni dell’ufficio studio dell’Ascom trevigiana - sottolinea Sartorato - nei prossimi mesi potrebbe chiudere in provincia un’attività ogni cinque». E questo anche perché affitto e fatturato vanno di pari passo: se la richiesta del canone è bassa, vuol dire che anche il giro d’affari si è ridotto. «È anche vero - ribadisce la Fipe - che dalle crisi nascono delle opportunità».
LO SCENARIO
Fare una mappa del costo degli affitti in città è complicato. Sono molti i parametri da tenere in considerazione: stato degli immobili, condizione dei locali, fatturato stimato, benevolenza del proprietario. Ancora oggi, poi, bastano poche decine di metri di distanza a marcare differenze notevoli. Per esempio: a Borgo Mazzini un bar-osteria di 60-100 metri quadrati può valere 2.500 euro al mese. In piazza Matteotti, quindi al di là della strada, si arriva a pagare anche la metà. E l’emergenza Covid ha contribuito a ridurre ancora di più i margini: il canone medio è arrivato a circa mille euro mensili. Dove prima si pagava 2000 euro al mese per l’affitto di un bar, come nella zona di Sant’Agostino, oggi ne vengono chiesti 1200. In qualche via laterale di San Nicolò, altra zone nel cuore del centro storico, anche meno. Secondo gli operatori di mercato non sono buoni segnali: affitti e incassi vanno, in genere, di pari passo. Se i canoni si abbassano un po’ ovunque significa che il giro d’affari non è più quello di un tempo, nemmeno nella ricca Treviso.
LA PREOCCUPAZIONE
Dall’altro lato della barricata, nel campo degli immobiliaristi, ci sono personaggi come Giorgio Rossi, che con le sue società gestisce vari immobili a destinazione abitativa, direzionale e commerciali, confermano la tendenza sottolineando un aspetto elementare: «Di fronte a chi è costretto a tenere chiuso, come è capitato in primavera anche qui da noi e come potrebbe ancora capitare, penso che sia importante mettersi una mano sulla coscienza. Non si può pretendere lo stesso canone di prima da chi non può lavorare. Personalmente, dove ho potuto sono andato incontro alle esigenze dei mie inquilini». Rossi è talmente convinto di questo principio da andare in rotta di collisione con qualche collega: «Quando vado in centro a Treviso vedo posti splendidi, potenzialmente molto redditizi. E mi chiedo sempre perché restino vuoti nonostante sia evidente il loro valore. Poi mi informo su quello che vogliono i proprietari per affittarli e troppo spesso rimango allibito: certe cifre sono fuori da ogni portata. Impossibile chiederle adesso. Tanto per dire: praticamente nessuno, oggi, potrà mai pagare 15mila euro al mese di affitto. Quando vedo queste cose mi arrabbio con qualche mio collega».
Paolo Calia
© RIPRODUZIONE RISERVATA

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