Dieci anni fa il terremoto in Emilia e in Polesine. I ricordi dei sindaci di allora: «Paura e tanti danni»

Sabato 21 Maggio 2022 di Bruno Cera - Alessandro Garbo
Sopralluoghi dei pompieri in centro a Rovigo, 10 anni fa

ROVIGO -  Dieci anni fa la terra tremava in Emilia, e di rimbalzo, come un cavallo imbizzarrito, anche in Polesine. Una catena di calci spaventosa: il primo intorno all’una del 20 maggio 2012, l’ultimo neppure si sa bene quando nel galoppo dei giorni e delle rovine, ufficialmente il 3 giugno. In mezzo le due scosse più spietate, quella delle 4.03 del 20 maggio, magnitudo 6 della scala Richter, epicentro a Finale Emilia, e quella delle 9 del 29 maggio, inferiore di appena due decimi, 5,8 Richter, epicentro a Mirandola. In tutto 27 morti, centinaia di edifici distrutti o lesionati, 13 miliardi di euro di danni.
In Polesine i comuni più bersagliati furono quelli che si affacciano sul Po, di fronte a Mantova, Modena e Ferrara. Il Grande fiume, che tante devastazioni ha portato nel nostro territorio, questa volta lo protesse, attutendo la carica delle vibrazioni. I più colpiti furono Ficarolo, Calto, Gaiba, Castelmassa, Ceneselli, Salara, Melara, Stienta, Lendinara, Fiesso Umbertiano, Occhiobello. La chiesa e il campanile di Sant’Antonino a Ficarolo divennero una sorta di simbolo del sisma nel Rodigino. Complessivamente furono 21 i comuni della nostra provincia considerati nei piani d’intervento della Regione.
A Castelmassa dolore per Paolo Siclari.

Messinese d’origine, salito al Nord nel 2001, lavorava all’Haemotronic di Medolla. Rimase schiacciato sotto le macerie della fabbrica, il giorno prima del suo 37. compleanno: era nato il 30 maggio 1975.

Tra le emozioni e le considerazioni dei sindaci di allora due costanti: la riconoscenza verso la Regione, che seppe promuovere e condurre rapidamente la ricostruzione e la presa di coscienza dell'importanza della prevenzione.

LA TESTIMONIANZA

«Anch’io quella notte fui scaraventato giù dal letto dal terremoto - racconta Fabiano Pigaiani sindaco allora, e anche oggi, di Ficarolo - Mi rammentai della scossa che sentii nel ‘76, ero bambino, venire dal Friuli, ma questa era molto, molto più forte. Scesi in strada con la famiglia, come molti altri. Poi corsi in municipio per capire quale era la situazione nel territorio. E la situazione era pesante: per fortuna nessuna vittima, ma tanti edifici erano rimasti danneggiati, a partire dalla chiesa di Sant’Antonino martire e dal suo famoso campanile pendente. Demmo l’allarme: l’intervento “n.1” dei pompieri del Polesine in relazione al terremoto ebbe luogo proprio da noi. Ci mettemmo in contatto con Prefettura, Provincia, Regione. Non avemmo stabili inagibili, ma dovemmo evacuare una dozzina di emigrati che vivevano sotto il campanile. Dovemmo affrontare alcune altre situazioni simili: reperimmo alloggi del Comune, dell’Ater e di altri organismi».
Quale fu la reazione della gente?
«Paura, tanta paura. Molti restarono a dormire in macchina per settimane. Quando arrivò la scossa del 29 maggio veramente per poco non si rovesciò in piazza la maxi-gru da 90 metri che i vigili del fuoco avevano già collocato accanto al campanile. Istituimmo anche un servizio di supporto psicologico. E ancor oggi i più, quando percepiscono un colpo o una vibrazione del terreno, hanno un moto di sgomento».
Che assistenza riceveste dalla Regione e dallo Stato?
«Devo dire che il presidente Luca Zaia fu determinante. In un primo momento l’Alto Polesine fu “escluso” dall’emergenza, l’attenzione si indirizzò solo sulla provincia di Modena. Il governatore ottenne rapidamente che nei piani di soccorso e poi di ricostruzione fossero considerati anche 21 Comuni rodigini. Tra l’altro, proprio di questo gruppo fui nominato portavoce e in questa veste, oltre a partecipare a numerose riunioni con autorità ed esperti, incontrai pure l’allora presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. La Regione fu velocissima ad aprire le procedure di verifica dei danni e di richiesta di contributi e ad erogare i fondi. In capo a 15 mesi abbiamo riparato tutto».
A distanza di due lustri, che esperienza è stata?
«Per me personalmente - ero stato eletto sindaco da appena un anno - fu una prova assai dura, ma dal punto di vista amministrativo fu estremamente formativa. Ho imparato ad essere sempre sul pezzo, a non abbassare mai la guardia, a risolvere i problemi con concretezza. Ho imparato anche a inventare - in certi casi - strade “alternative”. Oggi c’è troppa burocrazia: se uno dovesse seguire alla lettera tutti i codicilli, tutti i cavilli, concluderebbe ben poco. E s’impara la solidarietà: per esempio, siamo stati e siamo molto vicini alla popolazione di Amatrice».

Di quei giorni rammenta un episodio emblematico?
«Una delle prime mattine dopo il terremoto mi fermò una mamma con una bambina, entrambe in lacrime. «Ho perso la casa - si disperava la donna - cosà farò adesso? Nessuno mi aiuterà, finirò in una baracca. In Italia funziona così!» In realtà l’abitazione del signora era rimasta solo danneggiata e dopo qualche tempo potè rientrarvi. Io la calmai, le chiesi di avere un po’ di pazienza, la assicurai che nessuno l’avrebbe abbandonata. Dopo 2 anni la ritrovai per caso in un bar, stava bevendo un caffè. Mi vide, si avvicinò e mi disse: “Sindaco, aveva ragione lei, avevo giudicato male voi che ci governate, grazie”. È stata una grande soddisfazione».
 

Ultimo aggiornamento: 08:28 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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