ROVIGO - Fosse stato per il direttore del Saturday night live - ha raccontato Lou Marini a Rovigo, ospite al cinema Duomo della rassegna "Contaminazioni. Incontri tra cinema e teatro" - i Blues Brothers sarebbero durati solo per una puntata dello show. Il loro primo sketch non l'aveva fatto ridere. Ma nell'aprile del 1978, avvicinandosi la fine della stagione tv e con gli autori a corto di idee, il direttore diede dare una seconda opportunità alla band: «Ok, potete fare la vostra stupida canzone». Nei giorni successivi impazzirono tutti e «gli studios furono inondati di telefonate»: volevano ancora i Blues Brothers. E da allora per Blue Lou, già sassofonista nei Blood, sweat and tears, in studio con Lou Reed e dal 1975 nella band del Saturday night live, i Blues Brothers sono diventati «il più grande lavoro part time» della sua vita, e soprattutto «un grande regalo», ha raccontato il sassofonista al centinaio di spettatori dell'incontro, assieme al direttore artistico del Rovigo Jazz club, Andrea Boschetti, che al cinema Duomo ha preceduto la proiezione del film di John Landis, dopo il concerto da tutto esaurito al Ridotto del Teatro Sociale con il trio The Italian groovers. Concerto cominciato con un aneddoto su Roberto Benigni che mostra come l'umiltà sia proporzionale al valore, in particolare nei grandi artisti. L'aneddoto si aggiunge a ricordi che riempirebbero 10 stagioni di una serie tv, contando con chi Lou Marini ha suonato. Qualche nome? Stevie Wonder, Aretha Franklin e Frank Zappa, ad esempio.
LE COLLABORAZIONI
La domanda, allora, la fa a pranzo Andrea Boschetti, che scherzando dice a Blue Lou: «Almeno uno dei grandi con cui non hai suonato dovrebbe esserci: Frank Sinatra?». La risposta è pronta: «In realtà abbiamo fatto le prove per uno spettacolo, ma poi non è stato bene e lo spettacolo è saltato». L'aneddoto su Benigni arriva invece da un incontro casuale, una sera a New York. Lou Marini sta camminando per strada con la moglie. Cercano un ristorante: non hanno prenotato e vanno di corsa. Come loro, anche il comico toscano: «Mia moglie è spagnola e parla bene l'italiano, e soprattutto - racconta Marini - è fantastica con qualsiasi persona: che sia il presidente degli Stati Uniti o un muratore». Riconoscono Benigni e lei si lancia ad abbracciarlo e baciarlo, urlandogli la gioia di vederlo: «Roberto!». La risposta di Benigni fu di una bellezza disarmante: «Non merito così tanto!» Ed è la stessa risposta che Lou Marini ha riservato all'entusiasmo del pubblico al Ridotto del Teatro Sociale.
Tornando ai Blues Brothers, la stagione 1977-1978 del Saturday night live era finita.
MITICA BAND
«Tante personalità differenti formavano quella band, e anche solo fare le prove era magia», ha raccontato Blue Lou. Le registrazioni di una delle serate a Los Angeles diventò il disco "Briefcase full of Blues": scalò le classifiche, anche con i singoli "Soul man" ed "Hey Bartender". Quel successo e l'esplosiva ascesa di John Belushi nei panni di "Bluto" Blutarsky nel film Animal house, portò nel successivo tour estivo «Aykroyd e Belushi a scrivere una sceneggiatura». Così «arrivò il film. Poi un altro tour, e poi Belushi morì. Tutto finito».
Almeno fino al 1988. Quando a «Matt Murphy, in tour in Italia con la sua band, gli organizzatori chiesero se fosse stato possibile far suonare i Blues Brothers». Ne seguì un tour mondiale con centinaia di concerti. Oggi la leggenda dei fratelli Blues conserva senza appannamenti l'alone di celebrità: «Negli Stati Uniti - ha raccontato Lou Marini - il film è trasmesso continuamente. Ha bellezza, e allo stesso tempo innocenza».
Quanto al suo soprannome, Blue Lou. «Viene dal titolo di una canzone che ascoltava sempre mio padre, appassionato di jazz». Il problema, però, è nell'assonanza tra Blue e "boo", che in inglese significa insoddisfazione. Niente equivoci, invece, quando Blue Lou suonò con Frank Zappa nel 1976. «In quel periodo - ha raccontato a Rovigo - ci fu lo sketch in cui al Saturday night live Belushi come direttore d'orchestra "suona" il sax». In quei concerti finiti nel doppio album "Zappa in New York", c'era un brano "The black page", che era la trascrizione di un assolo di batteria di Terry Bozzio. Io dovevo però suonare la trasposizione per sassofono contralto».