​Uno scrigno nel mare di Zara: il recupero di quella nave colata a picco nel 1583

Martedì 12 Maggio 2020 di Alessandro Marzo Magno
Uno scrigno nel mare di Zara: il recupero di quella nave colata a picco nel 1583
Esperti italiani e croati impegnati nel recupero di una nave mercantile, la Gagliana Grossa, colata a picco nel 1503 con un carico di merci diretto a Costantinopoli per la madre veneziana del sultano Murad III. Dall'Adriatico emerse ceramiche, gioielli, occhiali, tessuti e damaschi, lampadari e addirittura barilotti di polveri per la cosmesi femminile.

LA STORIA
Nel novembre 1583 una delle più grandi navi mercantili veneziane dell'epoca naufraga nel mare della Dalmazia, vicino allo scoglio di Gnalic, poco a sud di Zara. La Gagliana Grossa, questo il nome della nave riportato nei documenti d'archivio, dopo una lunga carriera come imbarcazione da trasporto ne comincia un'altra come relitto, ancora più lunga, visto che arriva fino ai nostri giorni. Non conosciamo i motivi del naufragio colpo di bora? collisione con lo scoglio in condizioni di scarsa visibilità? ma, caso più unico che raro, oltre al relitto e a parte del carico, si sono conservati nell'Archivio di stato dei Frari i documenti di questa nave e quindi siamo in grado di costruirne la storia pressoché completa. Da svariati anni studia le carte Mauro Bondioli, il massimo esperto di costruzioni navali veneziane, degli scavi si occupa Irena Radic Rossi, archeologa subacquea, del dipartimento di Archeologia dell'università di Zara. 

LA VICENDA
La nave non dev'essere affondata in fretta perché la trentina di membri dell'equipaggio si è salvata, compreso il comandante, Alvise Finardi, che con l'imbarcazione di servizio ha raggiunto prima l'isola di Pasmano e poi Zara. Finardi è sepolto nell'ancora esistente tomba di famiglia all'interno della chiesa di Sant'Isepo di Castello. La Gagliana Grossa è una nave da 1200 botti (700 tonnellate) che sta compiendo il percorso tra Venezia e Costantinopoli. Ma in un periodo opposto rispetto a quello abituale delle unità veneziane che in genere partivano finito il blocco invernale della navigazione (il 20 gennaio) e ripartivano dal Bosforo verso luglio, agosto per arrivare a Venezia tra settembre e ottobre, prima dell'inizio del blocco invernale, il 20 novembre. L'armatore, Domenico Gagliano, che abitava nella parrocchia di Santa Maria Mater Domini, aveva avuto l'idea di far arrivare la propria nave in primavera, in modo da essere il primo a vendere le merci importate dal Levante e spuntare così i prezzi migliori. Il problema è però il viaggio inverso perché ormai i carichi per Costantinopoli sono già partiti e a Venezia non si trovano merci da caricare.

VETRI PREZIOSI
La sosta, quindi, è lunga e ai Frari sono conservati gli atti notarili dei veri mercanti che caricano i propri beni nella Gagliana Grossa. Alla fine vengono imbarcati anche merci ufficiali, ovvero una serie di doni della Signoria per la corte ottomana, in particolare per Nur Banu, cioè la madre del sultano Murad III, che era la veneziana Cecilia Venier-Baffo (che comunque, anche se fossero arrivati, non si sarebbe goduta i doni perché è morta un mese dopo il naufragio, nel dicembre 1583). A bordo si trovano quindi tessuti e una gran quantità di vetri di Murano: perle, 5 mila rui da finestre (dischi di vetro trasparente) che dovevano servire a rifare il soffitto del serraglio del sultano danneggiato qualche tempo prima da un incendio; si sono anche ritrovate molte lastre di vetro trasparente. 

A PICCO
Subito dopo l'affondamento viene mandata sul posto una squadra addetta ai recuperi, al comando del greco Manoli Fregata. I suoi uomini, con ogni probabilità pescatori di coralli, si immergono in apnea a una trentina di metri di profondità (dove il relitto si trova tuttora) e riportano in superficie gli oggetti di maggior valore, la cassetta dello scrivano, che conteneva il denaro di bordo, gioielli, pietre preziose, si sa che un tale va fino a Zara per recuperare uno specchio di Murano e un orologio astrolabio e che gli appartenevano. Viene quasi del tutto svuotato il ponte superiore, ma più in giù non si riesce ad andare e il relitto viene abbandonato. 

La riscoperta data al 1967, quando la Gagliana Grossa viene nuovamente individuata e cominciano le campagne di scavo. Nel museo di Zaravecchia (Biograd na Moru) sono esposte alcune tuniche di lino bianco recuperate dal relitto e restaurate, molti vetri sono nel museo del Vetro antico di Zara. Soprattutto è stato recuperato un reperto unico e preziosissimo: un rotolo di 54 metri di seta damascata che è stato restaurato ed è pure quello esposto. Negli anni Ottanta si è verificato un saccheggio da parte di un gruppo dei soliti turisti con scarsi scrupoli che si sono portati a casa, in Nord Europa, alcuni cannoni e la campana di bordo. 
Nel 2012 è cominciata la campagna di recuperi diretta da Irena Radic Rossi e tuttora in corso. Ogni estate, per un paio di mesi, le immersioni riportano in superficie quello che si trovava nei ponti inferiori. Sono stati recuperati un gran numero di occhiali. A Murano di fabbricavano le lenti e gli occhialeri veneziani producevano sia occhiali di lusso, sia low cost. Lo sappiamo grazie a un documento ritrovato da Mauro Bondioli che riguarda l'esportazione di 26 mila occhiali a prezzi economici. A bordo si trovano casse di lenti e pure casse di occhiali montati, purtroppo le montature sono in cuoio e avrebbero bisogno di essere restaurate, ma mancano i fondi per farlo. 

CERALACCA E ARTIGLIERIA
Degli altri vetri si è detto, si sono ritrovate anche ceramiche, nonché pezzi di artiglieria realizzati da entrambe le dinastie di fonditori veneziani: gli Alberghetti e i Conti. Sono state recuperate una stadera, spilli, spegnimoccoli, rasoi, lampadari tedeschi in metallo, stoviglie, vasi, mercurio, probabilmente proveniente dalle miniere di Idria, in Slovenia, un calderone per bollire la pece, una piccola pallina di ceralacca cremisi che, detta così, sembra un oggetto di scarsa rilevanza, invece è l'unico esemplare esistente di ceralacca cinquecentesca prima dell'utilizzo.

CARBONATO DI PIOMBO
Dalla sentina riemergono barilotti pieni di coni di biacca (carbonato di piombo). La biacca veniva utilizzata comporre i colori, ma aveva anche un largo utilizzo in cosmesi perché serviva a rendere bianchi i volti femminili, secondo la moda imperante al tempo. Tantissimi quadri dell'epoca mostrano donne con il viso bianco latte, schiarito grazie alla biacca. È stata utilizzata fino all'Ottocento e poi è stata messa fuori legge quando ci si è resi conto della tossicità del piombo. Lavoro ce n'è anco9ra tanto, perché la prua della nave si trova sotto la sabbia e non è mai stata esplorata. Soldi invece ce ne sono pochi perché gli unici finanziamenti arrivati sono quelli del governo di Zagabria. Dall'Italia non è mai giunto un euro, né dalle istituzioni pubbliche, né da enti privati. Eppure si tratta del più importante relitto rinascimentale mai individuato e di uno dei più notevoli dell'intero Mediterraneo. Tanti si riempiono la bocca con San Marco e relativo leone, ma restano con il portafoglio ben chiuso quando c'è da scucire denaro per recuperare ciò che la Serenissima è stata in grado di produrre nei secoli passati.
Ultimo aggiornamento: 13:07 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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