Quando l'Adriatico parlava il veneziano

Sabato 24 Febbraio 2024 di Alessandro Marzo Magno
Quando l'Adriatico parlava il veneziano

VENEZIA - Come si parlava nello stato da Mar? Cerca di rispondere anche a questa domanda la tre giorni che vede riuniti studiosi italiani, croati e greci per parlare dei domini oltremarini della Serenissima, ovvero di quell'oltre Adriatico che sembra un po' sfuggire alla memoria di quello che fu lo stato veneziano.

Questa è ormai la dodicesima edizione del convegno che la Società dalmata di storia patria e la sua presidente, Rita Tolomeo, organizzano ed è itinerante: il primo giorno alla Fondazione Cini a San Giorgio, il secondo all'Archivio di stato dei Frari e il terzo all'Istituto romeno di cultura e ricerca umanistica. Spiega Anna Rinaldin, docente di Linguistica italiana all'università Pegaso, che si utilizzava una lingua di intercomprensione che aveva come base il veneziano e conteneva prestiti di un po' tutte le lingue dell'oltre Adriatico: il greco, l'albanese, l'idioma slavo che in seguito si sarebbe evoluto in croato e serbo, a anche di lingue più lontane come l'ebraico o il turco. Una sorta di veneziano coloniale che il linguista Gianfranco Folena ancora negli anni Settanta aveva definito «veneziano de là da mar».

NESSUNA IMPOSIZIONE

Lo si parlava nell'Adriatico, in qualche area del Levante, del Nord Africa e del mar Nero, e non va confuso col sabir, la lingua franca del Mediterraneo che aveva un numero cospicuo di prestiti dall'arabo. Venezia non ha mai imposto una lingua agli abitanti dei vari domini: potevano continuare a usare i propri idiomi, ma c'era ovviamente bisogno di una lingua comune per far sì che un bocchese (ovvero abitante delle bocche di Cattaro) si intendesse con un veneziano, un greco o un bergamasco. In questo senso si rilevano parecchie similitudini tra Venezia e Roma e tra la formazione del veneziano d'oltremare e del latino parlato nei vari angoli dell'impero. Neppure Roma impediva ai popoli sottomessi di continuare a usare le proprie lingue, ma come lingua ponte si utilizzava un latino che non era quello di Cicerone, ma contaminato dalle parlate locali. Un po' come accade oggi con l'inglese parlato internazionalmente che con ogni probabilità farebbe inorridire Shakespeare o accadeva nella monarchia asburgica con il "Kasernedeutsch", un tedesco elementare necessario perché i soldati dei vari popoli austroungarici comprendessero gli ordini dei loro ufficiali. L'impronta generale era quella della lingua del dominatore perché è il suddito che deve avvicinarsi all'idioma del signore. Spesso le parole si importavano a gruppi, secondo l'argomento, un esempio conosciuto sono i termini marinari importati dall'arabo, il più noto è forse arsenale che deriva da dar al-sina. Le parole poi vengono adattate e cambiate in base alla pronuncia e all'uso locale, come l'arabo al sharbat che in Sicilia, e in seguito in tutta Italia, diventa sorbetto. Rinaldin e Lorenzo Lozzi Gallo, docente di filologia germanica alla Pegaso, hanno studiato il caso di un pellegrino tedesco del XV secolo che passa per Venezia.

DIARI

Era molto comune imbarcarsi nella città adriatica per andare in Terrasanta, e ci sono giunti numerosi diari, ma questo è un caso particolare perché normalmente i pellegrini non si perdevano a descrivere la Dalmazia, ma concentravano tutte le loro attenzioni alla meta finale del viaggio, soprattutto Gerusalemme e il Santo sepolcro. Konrad von Gruenemberg appare invece molto interessato anche a tutto quello che al tempo costituiva lo stato da Mar veneziano. Era nato a Costanza da dove parte nell'aprile del 1486 e vi torna in novembre. Viaggia fino a Corfù passando per la Dalmazia, ci mette diciassette giorni per andare dalla Dominante a Ragusa (Dubrovnik), un viaggio piuttosto breve per l'epoca e anche fortunato perché non si imbatte nei pirati, avvenimento piuttosto frequente in quei tempi. Comunque per comunicare con i sudditi dello stato da Mar si mette a imparare il veneziano, con ogni probabilità usando i manuali di conversazione che venivano in quell'epoca stampati a uso dei mercanti dell'Europa centrale che alloggiavano e lavoravano nel fondaco dei Tedeschi. Gruenemberg usa le parole veneziane che non hanno corrispondente in tedesco e le trascrive come le sente, fornendo un manualetto di primi utilizzi importantissimi per la storia della linguistica. Così "zentilumen" viene chiaramente da "zentilomo" o "barillen" da "barile". Riporta una serie di termini nautici che per lui, tedesco di terra, dovevano apparire piuttosto nuovi e strani, e a noi suonano un po' come parlavano nel fumetto Sturmtruppen, per esempio "bonatzen" cioè "bonaccia", "barken" che ovviamente significa barca, contrapposto a Schiff (nave) che esiste anche in tedesco e indica un'unità di notevole stazza. Il "kumpats" è la bussola ("compass" in inglese), ma probabilmente ripreso dall'uso dalmatino dove si tende a trasformare la o in u (kumpanija anziché compagnia), così come compare la parola "lantenna", tutto attaccato, in una versione molto simile a "laradio" che si sentiva in giro per il Veneto all'inizio delle emissioni radiofoniche. Nel linguaggio marinaro antenna è il pennone orizzontale sul quale viene inferita la parte superiore della vela (e siccome Guglielmo Marconi aveva fissato a un'antenna l'aggeggio che si era inventato per ricevere le onde radio l'ha chiamato con lo stesso nome). «Il pellegrino scrittore», annotava Sante Carciotti in "La Dalmazia e l'Adriatico", «per fortuna sua e nostra è un curioso che per istruzione e diletto cerca di raccogliere dai suoi incontri con luoghi e uomini per lui nuovi, insieme con le memorie del passato illustre, le notizie di più modesto taglio, fino alla diceria del luogo o al sentito dire dei membri dell'equipaggio».

SERVIZIO DI INTERPRETI

Se non fosse bastata la lingua franca d'oltremare per capirsi, i veneziani disponevano anche di un efficiente servizio di interpreti, i dragomanni. «Per il viaggio», precisano Anna Rinaldin e Lorenzo Lozzi Gallo, «la repubblica di Venezia offriva una vasta disponibilità di traduttori. Gruenemberg chiama "trutschelmann" un interprete di arabo in Terrasanta. Sicuramente c'erano interpreti nella nave che parlavano una forma di tedesco meridionale. Norimberga era la città più importante per i traffici con Venezia intorno al Quattrocento, quindi il dialetto più conosciuto poteva essere un compromesso tra francone e bavarese, ma pur sempre un Oberdeutsch (tedesco meridionale). Abbiamo testimonianze di veneziani che studiano questa lingua nel secolo XV, presso il fondaco dei Tedeschi». Venezia si dota anche di una scuola per dragomanni, istituita il 7 gennaio 1551, di fatto la prima scuola interpreti del mondo.
 

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