I "nomi" di Istria e Dalmazia durante la dominazione veneziana: schedate 7.424 persone, 1.524 luoghi e 86 famiglie

Giovedì 4 Gennaio 2024, 10:31
I nomi di Istria e Dalmazia durante la dominazione veneziana
di Alessandro Marzo Magno
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Oltre tremila tra piante, planimetrie, bozzetti, con 120 toponimi individuati: è il lavoro svolto nell'Archivio di stato dei Frari per stilare un elenco coerente dei toponimi di Istria e Dalmazia durante la dominazione veneziana. Tanto per fare un esempio semplice, Capodistria si può trovare scritta anche Capo d'Istria, e così via. Quindi bisognava uniformare i nomi, e si è messo all'opera Pietro D'Orlando, diplomato alla Scuola di archivistica, paleografia e diplomatica dell'archivio veneziano, coordinato da Monica Del Rio, archivista ai Frari, nell'ambito del progetto "Mare", Venezia e lo Stato da Mar, della Società dalmata di storia patria, diretto da Bruno Crevato-Selvaggi.


L'INDAGINE
«Abbiamo lo schedario dei disegni», spiega Monica Del Rio, «da lì sono stati selezionati i nuclei archivistici con le immagini che potevano interessare Istria e Dalmazia, quindi abbiamo normalizzato i toponimi inserendoli nei territori che li riguardano e portato tutto in "more veneto"». Per i non addetti ai lavori, "more veneto" sarebbe la finestra nel sito dell'Archivio veneziano attraverso la quale si accede al patrimonio archivistico disponibile online. Al momento vi sono 7424 persone, 1524 luoghi, 1471 organizzazioni e 86 famiglie. Scrivendo Capodistria e cliccando si raggiungono 41 risultati, riportati nella colonna di destra, cliccando ancora una volta si ottiene la collocazione. Per vedere materialmente il disegno bisogna farne richiesta e andare ai Frari. «Questa ricognizione è stata effettuata con i fondi garantiti dalla legge della Regione del Veneto che tutela i beni culturali veneziani in Istria, Dalmazia e Grecia», spiega Bruno Crevato-Selvaggi. Si tratta dell'ex legge voluta nel 1994 da Ettore Beggiato, in quegli anni assessore regionale ai rapporti con i veneti nel mondo, che nel 2019 ha cambiato denominazione perché la protezione, inizialmente riservata ai beni culturali di Istria e Dalmazia, è stata allargata alla Grecia.


RETTORI DIGITALI
Il macroprogetto al quale si sta lavorando è la digitalizzazione delle relazioni dei rettori dello Stato da Mar «e nell'ambito di questo progetto è stata stanziata una cifra per questo lavoro di catalogazione che si è svolto nel corso del 2023». Al momento si è circa a metà strada, ma i risultati, come detto, sono già online. «Gli oggetti culturali di interesse, relativi all'Istria e alla Dalmazia storica, sono 481, riconducibili a circa 120 toponimi», spiega Pietro d'Orlando, «le schede su cui ho lavorato sono tredici e corrispondenti ad altrettanti fondi. Nel complesso le rappresentazioni censite in queste schede sono oltre tremila. Il progetto ha previsto duecento ore di lavoro». Un fondo su cui si è lavorato parecchio è quello dei Provveditori sopra feudi, che riguarda i territori di Friuli, Istria, Dalmazia, isole ionie. Un fondo ricco, ma inventariato nell'Ottocento con quelli che erano i criteri archivistici di allora che certo non soddisfano i criteri di ricerca attuali. All'interno di questo studio è stata compresa anche l'Istria che secondo alcuni studiosi, primo fra tutti Alberto Rizzi, faceva parte dello Stato da Terra e non di quello da Mar. Sono ormai parecchi anni che l'Anvgd sta seguendo il progetto di reinventariare il materiale archivistico riguardante lo stato da Mar veneziano. Un lavoro notevole perché i fondi da esaminare sono tanti, basti pensare al solo Senato da Mar o ai dispacci del Provveditore generale in Dalmazia o a quelli dei rettori di Candia e delle altre isole greche appartenute allo stato veneziano.


OLTRE CONFINE
Senza contare che c'è molto lavoro da svolgere anche all'estero. Gli archivi di Capodistria, Zara, Spalato, Corfù, solo per citare i più importanti, sono ricolmi di materiale interessantissimo e spesso sconosciuto agli studiosi, sia italiani (perché gli inventari sono redatti nelle lingue del posto), sia locali (perché i documenti sono in italiano) e quindi per potersi muovere agevolmente c'è bisogno di conoscere almeno due lingue (ma per le zone appartenute alla monarchia asburgica come Istria e Dalmazia, appunto potrebbe risultare utile anche la conoscenza del tedesco). Zara ai tempi della Serenissima era sede del Provveditore generale e il suo archivio dal 1964 è ospitato nell'ex caserma della cavalleria veneta, dove prestò servizio Carlo Gozzi che ne scrisse nelle sue "Memorie inutili". Era stato inventariato da Valentina Petaros Jeromela, filologa e archivista free lance di Capodistria, un po' di anni fa, grazie proprio al finanziamento dell'Anvgd. La documentazione più clamorosa conservata a Zara sono le tavole catastali della cosiddetta Linea Grimani, ovvero il nuovo confine tra i possedimenti della Serenissima e quelli dell'impero ottomano stabiliti all'indomani della pace di Carlowitz, nel 1699.


TAVOLE COLORATE
Questo fondo è composto da 531 buste: contengono grandi tavole colorate di un metro per ottanta per centimetri che illustrano tutto il territorio compreso tra il Golfo del Quarnero e le Bocche di Cattaro. Sono disegni bellissimi che costituiscono un repertorio di eccezionale importanza. Sempre a Zara si conserva un incartamento sulle numerose guerre che la Serenissima ha condotto contro i turchi per il controllo delle saline di Pago e pure il fondo Dandolo, ovvero l'archivio segreto del provveditore generale in Dalmazia tra il 1806 e il 1810, cioè in epoca napoleonica. Sempre a Zara si ritrovano le carte della famiglia Dominis, originaria dell'isola di Arbe. L'esponente più illustre è senz'altro Marco Antonio de Dominis, vescovo dell'isola e metropolita della Dalmazia: fu il primo a capire, nel 1611, che l'arcobaleno era un fenomeno ottico, come gli riconoscerà anche Isaac Newton nel "Libro primo dell'Ottica": «Si è attualmente d'accordo che l'arcobaleno è un effetto della rifrazione della luce del sole nelle gocce della pioggia cadente. Ciò fu capito da qualcuno degli antichi e di recente riscoperto e meglio spiegato dal famoso Antonio de Dominis. Egli insegna infatti che l'interno dell'arcobaleno è prodotto nelle rotonde gocce di pioggia da due rifrazioni del sole e da una riflessione di esse». Purtroppo il libro che il vescovo aveva scritto, "De radiis visus ac lucis" è finito bruciato assieme al suo cadavere perché il religioso era fuggito a Londra dove aveva curato l'edizione inglese della "Istoria del concilio tridentino", di Paolo Sarpi. Tornato a Roma, muore nel 1624 e tutte le sue carte finiscono in un gran rogo a Campo de' Fiori.

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