Latte, una "dop" veneta
per dare un calcio alla crisi

Domenica 5 Aprile 2015 di Daniela Boresi
Una protesta degli allevatori
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Quello che gli allevatori veneti rischiano è qualcosa più di un incubo: annegare nel latte: tanto ma a prezzi stracciati. Anzi, proprio sottocosto. Una confluenza globale di problemi che sta mettendo in ginocchio i 3662 produttori nostrani del settore: la fine, da questo mese, del regime europeo delle quote latte, la produzione che sta subendo un’impennata; la Cina che non accantona più latte in polvere e non ultimo l’embargo russo.

Proprio mentre si apre il regime di libera concorrenza, il Veneto si trova a dover fare i conti con una produzione che è cresciuta in un anno del 3,67 per cento (da aprile 2014 a gennaio 2015, 915.842 tonnellate) e un prezzo che non può competere con quello di produzione (il nostro latte viene pagato 35-36 centesimi al litro, contro quello estero che arriva ai caseifici a 31-32 centesimi). Molte stalle stanno tenendo aperto solo per pagarsi i debiti. «Come allevatori - spiega Terenzio Borga, presidente A. Pro.La.V (Associazione veneta dei produttori di latte) - abbiamo visto scendere del 14 per cento il prezzo percepito del nostro latte a quasi dobbiamo ritenerci fortunati se pensiamo che sul mercato europeo il crollo è stato del 23 per cento. Se continua così saremo costretti a chiudere: nel 2014 siamo appena riusciti a pagare i costi di produzione, se il latte scende ancora non ce la faremo».

Le strategie che i produttori intendono mettere in campo sono differenziate, anche se hanno un comune denominatore: rendere visibile l’origine del latte. Un percorso che anche la "cugina" carne sta perseguendo con determinazione: l’etichetta con la tracciabilità (luogo di nascita dell’animale, nazione in cui è stato allevato e macellato) stanno aiutando un settore che fino a qualche anno fa faceva i conti con la crisi più nera. I produttori di latte ora puntano all’etichetta promessa dal ministro dell’Agricoltura Martina, "Latte fresco 100 per cento made in Italy". Ma sarà il secondo passo quello che farà a differenza: l’obbligo di indicare in etichetta l’origine della materia prima con la quale viene prodotto il formaggio. In Veneto il 70 per cento del latte prodotto viene destinato alla produzione di formaggi Dop, che sono quelli che di fatto fanno galleggiare il settore: Asiago, Casatella Trevigiana, Grana Padano, Montasio, Monte Veronese, Piave, Provolone Valpadana, Taleggio. E’ sull’evidenziare questo punto che i produttori veneti intendono insistere per arrivare a una definizione chiara e vincente sul mercato.

Ma il settore della zootecnia fa un ulteriore passo avanti: un patto con chi ha le stalle da latte per creare una filiera di carne veneta. Il progetto si chiama "Meetbull", è stato approvato dalla Regione Veneto, e ha per capofila Arav ed Aia, con la collaborazione di Unicarve, Azove ed Università di Padova. Come spiega il professor Giovanni Bittante dell’Università di Padova «L’uso di seme sessato (per consentire la nascita di vacche da latte e non di tori che agli allevamenti non sono graditi) è in grado di far nascere vitelle dalle migliori vacche per le esigenze degli allevamenti da latte veneti e di utilizzare le altre bovine, in incrocio con tori delle migliori razze da carne, per la produzione di vitelli destinati agli allevamenti da ingrasso veneti, oggi dipendenti dall’importazione. - spiega il professore - Abbiamo messo a punto tecniche di allevamento a basso impatto ambientale di questi animali ed un’alimentazione finalizzata ad offrire carni di qualità, in grado di migliorare la salute del consumatore». Le aziende coinvolte in Veneto sono circa un centinaio. Tra i soggetti coinvolti anche UniCredit, che assicura: «Interverremo a supporto del progetto Meetbull con finanziamenti agevolati dedicati ai soggetti coinvolti». La banca, quindi, sosterrà la creazione di una filiera di carne al 100% italiana - e in questo caso veneta - facilitando l’accesso al credito da parte delle aziende aderenti al progetto.
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