Ebrei, il sangue di Giuditta e la calunnia smascherata

Giovedì 28 Gennaio 2021 di Alessandro Marzo Magno
Abbazia della Vangadizza simbolo di Badia Polesine

L'accusa antisemita di bere sangue umano è sfociata in numerosi procedimenti giudiziari, anche con condanne al rogo (tre a Portobuffolè nel 1480). Ma la vicenda che ha messo fine in Italia all'orribile pregiudizio si è consumata nel 1855 a Badia Polesine, protagonisti un esattore delle imposte e una giovane contadina. Un libro di Emanuele D'Antonio indaga sul caso

Chissà com'era quel 28 giugno 1855 a Badia, al tempo non ancora Polesine: caldo, afa; il clima d'estate non è propriamente amichevole in quella fetta di pianura tra Adige e Po.

Uno dei borghesi più illustri e stimati della cittadina, un ricco commerciante, proprietario della ferramenta dove tutti andavano a comprare qualsiasi cosa, nonché titolare dell'appalto dell'esattoria delle imposte, finisce in carcere. Si chiama Caliman Ravenna, è ebreo, l'accusa a suo carico è di aver praticato salassi a una contadina di ventidue anni per poterne bere il sangue. La calunnia del sangue: una falsa accusa che gli ebrei si vedono addossare da secoli. A nulla vale che la religione ebraica vieti di bere sangue: contro il pregiudizio, la razionalità non serve a nulla, ieri come oggi. La vicenda viene narrata nel libro di Emanuele D'Antonio, Il sangue di Giuditta. Antisemitismo e voci ebraiche nell'Italia di metà Ottocento, edito da Carocci. D'Antonio, pordenonese ricercatore all'università di Torino, è contemporaneista che si occupa di storia degli ebrei e dell'antisemitismo dell'Ottocento e pure di Cesare Lombroso. Il criminologo noto per aver elaborato teorie sulle origini biologiche del crimine, era ebreo e, pochi lo sanno, scrisse pure un saggio per confutare l'antisemitismo. Naturalmente lo fece a modo suo: misurando crani per dimostrare che non c'erano differenze tra le teste degli ebrei e quelle degli altri. Torniamo a Badia, a metà Ottocento.

TRA PADOVA E VERONA La giovane contadina che accusa il commerciante si chiama Giuditta Castilliero e vive a Masi, un paese della bassa Padovana. Racconta di essere stata rapita, portata a Verona e che lì le sono stati praticati salassi, il sangue veniva raccolto in un catino e bevuto da un uomo che identifica senza incertezze in Caliman Ravenna. Questi finisce in carcere, ci rimarrà sedici giorni e ne uscirà completamente scagionato. Il punto è che la calunnia del sangue era stata trovata del tutto credibile non solo dai contadini analfabeti, ma pure dai borghesi e persino dai magistrati, persone studiate che non avrebbero dovuto cedere con tanta facilità a simili superstizioni. Eppure Eppure il pregiudizio era diffuso: gli ebrei erano ritenuti gente cattiva, pericolosa, capace di bere il sangue. Circolavano storie, si raccontava la vicenda del beato Simonino, il santo bambino, ovvero il bimbo di Trento che sarebbe stato ucciso per berne il sangue nella Pasqua ebraica del 1475; analoga accusa di omicidio rituale era stata formulata a Portobuffolè, tra Treviso e Pordenone, nel 1480. In entrambe le occasioni il mandante erano le prediche antisemite di Bernardino da Feltre, in entrambe le occasioni finiscono sul rogo ebrei innocenti: quindici a Trento, tre a Venezia, dove si era tenuto il processo di appello per gli imputati di Portobuffolè. Queste storie erano ritenute verità, basti pensare che il culto di Simonino è stato soppresso e il corpo è stato rimosso soltanto nel 1965, per opera dell'allora arcivescovo di Trento, il veneziano Alessandro Maria Gottardi.

LA RIVALSA Non erano bastate l'emancipazione degli ebrei stabilita in età napoleonica, né l'editto di tolleranza degli austriaci che allora controllavano il Lombardo-Veneto. Agli ebrei veneti in quegli anni mancavano parte dei diritti civili e parte dei diritti politici, persi all'indomani del fallimento della rivoluzione del 1848-49. Quindi le comunità ebraiche si rendono conto che sulla vicenda di Badia, dove vivevano soltanto due famiglie ebraiche, si gioca il futuro delle loro aspirazioni di piena emancipazione nel Lombardo-Veneto ed esercitano fortissime pressioni sulle strutture dello stato asburgico. «A Venezia», precisa D'Antonio, «si sosteneva che la storia fosse pericolosa e calunniosa e si riesce a riorientare l'andamento del caso». Le comunità ebraiche trovano una sponda nelle autorità austriache: non sanno come gestire la patata bollente e quindi anche a loro fa gioco che si dimostri la calunnia. Caliman Ravenna, come detto, viene rilasciato e, cosa niente affatto scontata, ritorna a occupare il ruolo sociale che aveva in precedenza, con il palco al Teatro Sociale, cofondatore della Filarmonica, le visite nei salotti e le conversazioni al caffè. Intenta una causa civile a Giuditta Castilliero non perché pensasse di ottenere un risarcimento dei danni da una nullatenente, ma per dimostrare l'inesistenza delle accuse. La donna sarà condannata a sei anni di carcere duro per calunnia che sconterà nel carcere femminile della Giudecca, dopodiché se ne perdono le tracce. Nonostante le ricerche in una quantità di archivi, D'Antonio non è riuscito a risalire neanche a quando e dove sia morta. Così come mancano indizi per identificare chi abbia manovrato Castilliero. Era una persona marginale, povera, zoppa, senza alcuna prospettiva per il futuro, viveva alternando il lavoro nei campi a quello domestico. Qualcuno, presumibilmente in cambio di denaro, deve averla istruita su come muovere le accuse contro Caliman Ravenna, qualcuno che aveva complici in grado di praticare sulle braccia della ragazza tagli professionali che davvero sembravano l'applicazione di un salasso. Ravenna aveva nemici: commercianti suoi concorrenti che l'avrebbero più che volentieri guardato finire sul lastrico. E poi i nobili decaduti, persone impoverite che non erano in grado di pagare le tasse dovute all'esattore distrettuale delle imposte, ovvero a Ravenna, e ed erano costrette a vendere campi e costruzioni che molto spesso venivano comprati proprio da esponenti della nuova borghesia ebraica. I colpevoli stavano là in mezzo, ma le indagini di D'Antonio non hanno permesso di scoprire chi fossero.

SPARTIACQUE La vicenda di Caliman Ravenna costituisce uno spartiacque: dopo il suo caso non ci saranno più nel Lombardo-Veneto, e neppure in Italia, procedimenti giudiziari basati sulla calunnia del sangue. Nel 1860 a Lendinara due venditori ambulanti male in arnese vengono accusati di essere ebrei a caccia di bambini per berne il sangue. Questa volta le cose vanno diversamente: chi ha messo in giro la calunnia viene arrestato e processato (non così in Europa: in Ungheria, in Germania, e soprattutto in Russia, la calunnia del sangue andrà avanti fino a fine secolo). «È interessante il rovesciamento sociale che si è verificato nella vicenda di Badia», conclude D'Antonio, «alla contadina marginale, con pessima reputazione, è stato dato più credito che al ricco uomo d'affari in marsina e panciotto». 

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