Coronavirus, test sierologici servono: ci sono anticorpi IgG in tutti i malati

Venerdì 1 Maggio 2020 di Valentina Arcovio
Coronavirus, test sierologici servono: ci sono anticorpi IgG in tutti i malati
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I test sierologici per il nuovo coronavirus servono, eccome. Perché con molta probabilità il 100% delle persone colpite da Covid-19 presentano gli anticorpi IgG, cioè quelli prodotti durante la prima infezione e che dovrebbero proteggere a lungo termine. È la buona notizia che ha ufficializzato uno studio della Chongqing Medical University, in Cina, rilanciato subito sui social dal virologo Robero Burioni.

GESTIONE DELLA PANDEMIA
Anche se condotto su un piccolo numero di pazienti, precisamente 285, i risultati sono stati accolti con grande entusiasmo e ottimismo dalla comunità scientifica. Perché provano che il test sierologico può essere utile per diagnosticare i pazienti sospetti e risultati negativi al tampone. E può soprattutto identificare quelli asintomatici, da sempre considerati un «cruccio» per la gestione di questa pandemia. Insomma, il nuovo studio sembra dare ragione a tutte quelle città o regioni che hanno avviato campagne di test anticorpali su tutta la popolazione. In particolare, i ricercatori cinesi hanno mostrato che i pazienti sviluppano gli anticorpi specifici per il nuovo coronavirus dopo circa 17-19 giorni dalla comparsa dei sintomi. Mentre i pazienti con gli anticorpi IgM, quelli cioè che si attivano subito quando l'organismo entra in contatto con una nuova infezione, dando una protezione di breve durata, erano il 94,1%, dopo 20-22 giorni dall'inizio dei sintomi. Nelle prime tre settimane dalla comparsa dei sintomi, c'è stato dunque un aumento di entrambi i tipi di anticorpi, anche se quelli IgM, cioè gli anticorpi che si attivano immediatamente quando l'organismo entra a contatto con una nuova infezione o un antigene estraneo, hanno mostrato un lieve calo nella terza settimana. Non sono stati invece trovati legami tra le caratteristiche cliniche di ogni malato e il diverso livello di anticorpi.

«Questo significa che nello studio non è risultata nessuna correlazione tra i livelli di anticorpi e il decorso clinico della malattia», spiega Giovanni Maga, direttore dell'istituto di Genetica molecolare del Consiglio nazionale delle ricerche di Pavia. «Questo potrebbe essere dovuto al fatto che la risposta era già massima e quindi poi tutti reagivano all'infezione sulla base della loro condizione fisiologica oppure che alcuni avevano anticorpi meno efficaci», aggiunge. Lo studio ha dimostrato inoltre l'utilità del test sierologico come metodo di sorveglianza su un gruppo di 164 contatti stretti dei pazienti positivi al Covid-19. Di queste persone, 16 erano risultate positive al tampone, di cui tre asintomatiche. Le altre 148 erano negative al tampone e non avevano sintomi. L'esame sierologico per gli anticorpi è stato fatto 30 giorni dopo l'esposizione al virus. Sedici persone positive al tampone avevano tutte gli anticorpi, mentre 7 dei 148 negativi al tampone avevano gli anticorpi specifici per il virus. Questo significa che il 4,3% dei contatti stretti era sfuggito al tampone. In definitiva, il tampone rimane efficace per confermare precocemente l'infezione, ma l'esame degli anticorpi può essere importante come complemento per la diagnosi dei casi sospetti negativi al tampone, e nel sorvegliare le persone entrate in contatto con i malati ma asintomatici.
Ultimo aggiornamento: 10:40 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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