Il prefetto Maiorino lascia a fine mese: ha fronteggiato il Covid e "affrontato" i vertici militari Usa di Aviano

Venerdì 28 Agosto 2020 di Susanna Salvador
Il prefetto di Pordenone, Maria Rosaria Maiorino
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PORDENONE - Il bilancio di una vita fatta anche di rinunce che pesano il giusto, come le notti in cui ci si dimentica di dormire perchè bisogna portare a termine un’indagine su un traffico internazionale di droga. Maria Rosaria Maiorino, 65 anni, prefetto di Pordenone e prossima alla pensione dopo 40 anni di servizio, è tante cose come la sua carriera iniziata quando una donna in Polizia era una mosca bianca che diventava ingombrante se poi arrivava a dirigere la Squadra Mobile di Cagliari, dove ha la fortuna di avere come “maestro” «un vecchio maresciallone che mi ha insegnato a muovermi nell’ambito della polizia giudiziaria». Perchè essere la prima donna a capo di una sezione importante come la Mobile in una città come Cagliari nel 1981 non è un’inezia. Perchè è stata la prima e lo sarà per tutta la vita occupando ruoli che mai una donna aveva coperto prima. Quel “prima” che non ama sentirsi dire e ripetere, ma che in realtà è solo il suo curriculum, costellato da scalate difficili ma delle quali è sempre riuscita, senza risparmiarsi, a vedere la cima.
CARRIERA E SACRIFICI
«Non mi piace dipendere dagli altri - si racconta il prefetto -, per questo cercavo di carpire tutto quello che potevo per essere in grado di agire e di dare disposizioni. Ero una spugna da giovane». E di muri ne ha trovati all’inizio della sua carriera, anche se scivola via parlando di «un percorso non semplice, una sfida per la quale si paga un prezzo fatto di rinunce e sacrifici». Come gli orari che non esistono, le feste e le domeniche che diventano giorni come altri, le cene con gli amici che saltano per un’emergenza improvvisa. Maiorino ha girato in lungo e in largo il Paese, rapportandosi con realtà diverse tra loro, è stata anche la prima donna questore e prima di arrivare in questo piccolo lembo del nord Italia si è occupata per tre anni della sicurezza di Papa Francesco.
LA SQUADRA DI PORDENONE
«Mi ha colpito fin da subito, quando sono arrivata a Pordenone, il senso civico dei cittadini, il rispetto per le istituzioni - sottolinea il prefetto -. Per questo pretendono molto e legittimamente. Esigono un alto livello di sicurezza». Parla di un’esperienza bellissima e appagante, quella con la quale si chiude la sua vita lavorativa. Soddisfatta soprattutto per essere riuscita ad ascoltare i bisogni della gente «con la collaborazione di tutti. Si è formata una bella squadra che ci ha permesso di intervenire rapidamente soprattutto durante l’emergenza Covid 19. Un periodo terribile che abbiamo potuto gestire in squadra, condividendo i problemi». Soddisfatta per essere riuscita a far parlare tra loro istituzioni, associazioni e cittadini. Aver gestito un’emergenza come la pandemia da Covid non è stata una battaglia semplice e l’esperienza e la professionalità sono stati di vitale importanza nell’affrontare giorno dopo giorno i tanti interrogativi dei quali non si conoscevano le risposte.
GLI STRANIERI
Ci sono poi i numeri che raccontano di come sia cambiata la realtà pordenonese, per quanto riguarda la presenza di richiedenti asilo, nei due anni in cui Maiorino è stata a capo della prefettura. «Da 934, oggi sono poco più di 300 e questo anche perchè tanti richiedenti asilo hanno trovato un lavoro a tempo indeterminato». E sulla sicurezza ricorda la costante attività di controllo nei centri di raccolta, il monitoraggio continuo della situazione. «Molti di questi si sono stabilizzati qui, si sono inseriti». Non ci sono problemi nemmeno per il Centro islamico, non c’è radicalizzaione, ma il dialogo è e rimane fondamentale. 
LA BASE DELL’USAF
Ci sono poi gli statunitensi della base aerea di Aviano e i rapporti con i vertici militari Usa. Non sempre facili da gestire. «Due mondi e due culture diverse - afferma il prefetto -, l’importante è cercare di venirsi incontro». Anche se non sempre è semplice, come durante l’emergenza Covid. «All’inizio c’era una “resistenza” - e la parola la pensa a lungo prima di pronunciarla - che nasceva dal fatto che loro facevano riferimento ai vertici e cercavano di conservare usi e costumi che nel territorio italiano non erano più permessi». Come le grigliate in tempo di lockdown. È stato difficile far capire loro che «dovevano applicare e rispettare quello che decideva il Governo italiano perchè si trovano e vivono in suolo italiano». Così «siamo dovuti intervenire come prefettura e poi si sono lasciati guidare».
L’ADDIO
E dopo due anni pordenonesi il prefetto Maiorino se ne va raccontando i pordenonesi come persone non abituate alla rassegnazione: «Qui ci si ribella. Non ci si arrende mai». Per questo le organizzazioni criminali qui non mettono radici.
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