Il Riccardi-bis sfida le critiche: «Porto la salute sul territorio»

L'ex vice succede a se stesso: "Il privato? Non è un nemico. La partita chiave? Le cure intermedie. Sanitari: pagarli di più"

Domenica 23 Aprile 2023 di Marco Agrusti
Il Riccardi-bis sfida le critiche: «Porto la salute sul territorio»

Assessore Riccardo Riccardi, dopo la centrifuga del Covid altri cinque anni alla guida della sanità friulana. Molti le chiederebbero: chi gliel'ha fatto fare?
«Voglio ancora dare il mio contributo e mi auguro di trovare gli interlocutori necessari ad un confronto serio, a una pacificazione della dialettica.

Tutto deve avere una sua sostenibilità, al di là delle opinioni».


Che interlocutori ha trovato, invece, nel "primo tempo" del suo mandato alla Sanità?
«La salute non è né di destra, né di sinistra, Per fare un esempio, le mie idee sono le stesse dell'assessore alla Salute dell'Emilia Romagna. In consiglio regionale ho trovato esponenti dell'opposizione portati e pronti ad un atteggiamento costruttivo e leale. Altri invece si sono trasformati in una sorta di ufficio reclami per un tornaconto elettorale personale. La logica dell'ufficio reclami in questo contesto non va bene».


La accusano di voler spingere verso la privatizzazione della sanità locale. Come risponde?
«Io sono fortemente e convintamente per la conduzione pubblica della salute. Ma il privato convenzionato non può più essere considerato e valutato come un nemico».


Può spiegarsi meglio?
«Nel settore delle cure a bassa e media intensità dev'essere trovato un giusto equilibrio. Siamo nella regione con il rapporto più basso se si parla di utilizzo del privato convenzionato e di budget ad esso connesso. Scontiamo una fuga proprio verso quei territori che garantiscono proprio al privato accreditato un budget più alto. La guida della sanità deve restare assolutamente pubblica ma è necessario trovare un punto di equilibrio».


Liste d'attesa, popolazione che invecchia, personale introvabile. Quale sarà la sfida più tosta del Riccardi-bis?
«Dovremo avere il coraggio di attivare una misura che riguarderà la salute, più che la sanità in senso stretto. Stiamo andando verso un progressivo invecchiamento della popolazione e la gestione delle malattie croniche dovrà diventare centrale. La pandemia non ha scoperto nulla di nuovo, ha solo confermato quanto si sapeva: c'è un buco nelle cure intermedie e dovremo cercare di coprirlo. Già iniziare ad impostare questa necessaria transizione sarà un successo. È un impianto, quello solo ospedaliero, a modificare per dare una risposta alla sempre crescente cronicità delle malattie».


Nota dolente, arriviamo al personale. C'è una cura per la fuga da alcune specialità mediche e da tanti reparti cruciali?
«Il punto cruciale sarà legato all'impostazione dei rapporti con lo Stato. Serve un grande investimento sul capitale umano, con una decisa modifica delle regole».


Verso quale sistema?
«Ci sono tantissime questioni aperte e ancora oggi irrisolte. Si va dai meccanismi di reclutamento del personale all'uso degli specializzandi, fino alle politiche retributive dei sanitari».


I medici devono prendere di più?
«Io non credo che la maggior parte dei professionisti della salute lavori per soldi, ma sicuramente si tratta di una leva che non possiamo mettere in secondo piano. Dobbiamo virare verso un sistema che valorizzi il merito, le carriere, ma anche il tempo libero dei professionisti sanitari».


E in questo contesto come si posizionerà il Friuli Venezia Giulia?
«È ovvio che una grande regione sarà in grado di essere più attrattiva dal punto di vista della casistica medica che incontra nella sua carriera un professionista. Per questo si deve considerare la remunerazione del personale».


Un obiettivo?
«Dare una risposta ai tanti casi inappropriati - e si parla ottimisticamente del 50 per cento - che arrivano ad esempio nei Pronto soccorso. Dobbiamo vincere la sfida del territorio, dai medici di medicina generale alla telemedicina».

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