L'infermiere degli Infettivi: «E' stato come uno tsunami»

Martedì 3 Marzo 2020 di Elisa Fais
Rossano Precoma

PADOVA «A volte stress e fatica si fanno sentire, ma nessuno di noi si è mai tirato indietro. Il dovere di ogni infermiere è assistere i propri pazienti, ancor più in situazioni di emergenza come queste. Non ci sentiamo eroi o angeli, lungi da esserlo. Cerchiamo solo di far bene il nostro lavoro, giorno per giorno. Questo è sufficiente per tornare a casa sereni, anche quando stanchezza e difficoltà sembrano avere la meglio».

«Noi, carabinieri in prima linea a Vo' tra la gente»

Sono le parole di Rossano Precoma, 48 anni, infermiere dell’unità di Malattie infettive dell’Azienda ospedaliera di Padova. Ad oggi sono circa una decina i pazienti positivi al Coronavirus ricoverati al primo piano del reparto. Il personale di Malattie infettive finora ha eseguito oltre 6 mila tamponi per tutti coloro che mostravano i sintomi della malattia e per i contatti. Da qualche giorno i test sono stati spostati alla tendopoli sanitaria allestita nell’area parcheggio davanti al reparto. Venerdì 21 febbraio è scoppiata l’emergenza Coronavirus, in serata è arrivato il primo paziente di Vo’ proprio al reparto di Malattie infettive. «Eravamo già stati allertati perché l’Azienda ospedaliera è stata indicata come centro di riferimento regionale. Sin da subito ci siamo dati da fare per trasferire altrove tutti i pazienti ricoverati nelle degenze, era necessario liberare il primo piano per accogliere i casi accertati e sospetti di Coronavirus. Una mole di lavoro simile però nessuno se l’aspettava, è stato come uno tsunami».

Ha paura di essere contagiato?
«Lavoro a Malattie infettive da vent’anni. Non ci si abitua mai al timore di un eventuale contagio, ma sia io che i miei colleghi ci consideriamo formati per affrontare queste situazioni. Esistono specifici protocolli da seguire. Io ho vissuto diverse epidemie dal punto di vista professionale. Ricordo l’Hiv, quando ancora si avevano poche certezze sul metodo di trasmissione. Per non parlare dell’ebola, con altissima mortalità e poi della Sars».
In cosa si differenzia l’emergenza Coronavirus?
«Il protocollo che adottiamo è molto simile a quello per le patologie ad alta diffusione come l’ebola. È fondamentale il momento della vestizione e della svestizione, all’ingresso e all’uscita della stanza del paziente. Abbiamo presidi sanitari specifici come tuta, guanti, mascherina e calzari. Ogni volta che si entra e si esce dalla stanza di degenza bisogna buttare via tutto nei rifiuti speciali. Chiaramente si fa visita al paziente più volte nel corso di una giornata, per qualunque necessità: dai pasti, alla somministrazione delle medicine, fino all’assistenza immediata se suona il campanello. Questo fa capire il quantitativo di materiale che serve: tantissimo. Infatti abbiamo dovuto aumentare gli ordini dei presidi per far fronte alle esigenze».
E il personale?
«In queste condizioni servono persone di supporto, personale in più. Ad esempio se entro nella stanza del paziente per fare un prelievo e per qualche motivo la provetta è compromessa o qualcosa non funziona, bisogna chiedere aiuto ad un collega fuori. Come spiegato prima, non si può mollare tutto lì e uscire liberamente come fosse un reparto qualunque. Ogni operazione, anche la più semplice, diventa complessa e richiede più tempo».
Voi che tipo di pazienti avete?
«Da noi non avvengono decessi. I pazienti che hanno bisogno di ventilazione assistita, quindi i casi più critici, vanno in Rianimazione».
Avete avuto anche tante richieste di informazioni sul virus?
«Sì, molti hanno telefonato per chiedere chiarimenti ma abbiamo sempre reindirizzato tutti agli organi competenti. È stato attivato un numero verde apposito. Quando possibile comunque ci siamo resi disponibili. Attorno a questo tema, soprattutto nei primi giorni, si è generata tanta confusione. Io sono fiducioso, con la collaborazione di tutti ne usciremo».
Elisa Fais 

Ultimo aggiornamento: 4 Marzo, 12:08 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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