MONTEGROTTO (PADOVA) - Perché solo adesso? Per quali ragioni si è dovuto attendere 43 anni perche fosse aperto finalmente uno squarcio di verità sulla strage di Ustica? Chi ha imposto queste ragioni per così tanto tempo? C’è più incredulità che rabbia negli interrogativi che si pongono ora i famigliari delle vittime della strage del giugno dell’80, quando il Dc dell’Itavia si inabissò nelle acque del Tirreno.
La sorte del velivolo, secondo la verità resa nota l’altro giorno dall’ex Presidente del Consiglio Giuliano Amato, fu segnata da un missile francese fatto esplodere all’indirizzo di un Mig dove si sospettava viaggiasse Mu’ammar Gheddafi.
IL CALVARIO
La tragedia fu l’inizio del calvario di dolore dei loro figli Riccardo, Elisabetta, Rosalinda e Ivano. «La porta della nostra sofferenza e di quella di tanti altri famigliari delle vittime – spiega Elisabetta – era rimasta solo socchiusa. Le dichiarazioni di Giuliano Amato l’hanno bruscamente spalancata. E’ doloroso chiedersi perché abbia parlato solo ora. E cosa l’abbia indotto a serbare questa verità per 43 anni».
La verità di Amato, in fin dei conti, non è altro ciò che fu dichiarato l’ex Presidente della Repubblica Francesco Cossiga ancora nel 2009, aggiungendo che il pilota del Mig si sarebbe suicidato. «Le sue parole – continua ancora Elisabetta Lachina – non fanno altro che riproporre, con un supplemento di incredulità ancora più doloroso, ciò che puntualmente provo ad ogni anniversario della strage. Oggi per me è ancora il 27 giugno. Forse è un “anniversario” ancora più triste degli altri”. Cosa succederà nei prossimi giorni è difficile da dire. I parenti delle vittime si aspettano che i giudici che ancora stanno indagando sulla strada convochino l’ex Ministro, che dalle sue dichiarazioni partano nuove rogatorie all’indirizzo del Governo francese, il quale a sua volta si ingegnerà ad opporre nuovi silenzi».
«Ci sono parenti delle vittime – dice commossa Elisabetta Lachina – che sono morti senza conoscere la verità e per tutta la loro vita hanno lottato perchè fosse fatta luce sulla vicenda. Ora ci attendiamo che il Governo di Giorgia Meloni chieda ragione in modo chiaro di quale fu il comportamento delle forze “alleate” quel giorno. E’ un comportamento che non può più essere negato a quanti di noi ancora vivono nel dolore».
L’APPELLO
Un appello altrettanto chiaro, Elisabetta Lachina lo rivolse “a viva voce” all’allora presidente francese Nicoas Sárközy in occasione della presentazione del libro del giudice Rosario Priore, dedicato alla strage di Ustica. «Il giorno dopo – continua – mi fu inviata una nota da parte del governo francese, promettendo una collaborazione che non vi fu mai. Da quel giorno le illusioni si sono succedute. Abbiamo continuano ad attendere contributi di verità invano».
Il 27 giugno del 1980, Elisabetta aveva 18 anni. L’estate in cui morirono i suoi genitori era già sbocciata con tutto il suo fulgido carico di progetti e di promesse. Aveva appena preso la patente. Le aspettative affollavano i suoi occhi ed il suo cuore.
«Fino a poco tempo fa – ricorda – giravo le scuole con il giudice Priore a parlare di Ustica. Vedevo negli sguardi dei ragazzi che mi ascoltavano quello che ero io allora. Li invitavo ad avere fiducia nel futuro e nelle istituzione. Non ho più la forza di farlo ed è per questo che nelle scuole non ci vado più. Per troppo tempo questo appuntamento con la verità è stato disatteso. Non mi stupirebbe se lo fosse anche stavolta».
Eppure la prima sensazione che Elisabetta ha avuto dopo aver appreso le dichiazioni di Giuliano Amato è stato quella del ricordo, ancor più nitido del sorriso di sua mamma. «Non so se sia - ha detto - un nuovo anelito di speranza nella verità. O ancora una volta il richiamo ad un immagine cara. L’unica che mi resta in questo lungo percorso di dolore».