PADOVA - «Mi trovo in una situazione che definirei quasi imbarazzante» spiega Maicol Fassiti, parrucchiere, giovane imprenditore e proprietario di 3 negozi in provincia di Padova: uno a Vigodarzere in via Marconi, uno a Mortise in via Madonna della Salute e uno in centro città lungo Corso Milano. Da più di un anno diffonde annunci di lavoro senza capire per quale motivo non riesca a trovare nuovo personale intenzionato a collaborare con la sua attività.
Che sensazione prova?
«Nella mia vita non mi sono mai trovato nelle condizioni di non riuscire a trovare un nuovo collaboratore.
Non c’è nessuno che sia disposto a fare il parrucchiere?
«Fosse quello, continuerei a cercare e mi metterei il cuore in pace, ma il problema è completamente diverso. Sono ormai 20 mesi che continuo a pubblicare annunci di ricerca personale e credo di averle provate davvero tutte: siti internet, bacheche, passaparola, persino l’ufficio di collocamento, ma niente da fare. Di curriculum e proposte me ne sono arrivate, ma nella maggior parte dei casi non si arriva nemmeno al colloquio: io li chiamo, fisso un appuntamento che vada bene ad entrambi e puntualmente non si presentano nemmeno. Questo succede frequentemente per i ragazzi dai 16 ai 25 anni. Dopodiché scompaiono e non si fanno più sentire. In questo modo io perdo solamente un sacco di tempo per niente, che si traduce anche in ore di lavoro che faticherò a recuperare».
Quelli che si presentano, invece?
«Altro tasto dolente. Spesso e volentieri sono persone più grandi che usufruiscono del reddito di cittadinanza e che, per mantenere l’introito, mi chiedono di poter lavorare in nero. Chiaramente per me questa non è una condizione accettabile, perché va contro all’etica aziendale. Allo stesso modo i siti come Subito.it rimangono un mondo a parte che ancora devo riuscire a comprendere, sono complicatissimi e spesso non riesco ad inserire tutte le info che servono a chiarire nel modo migliore il genere di occupazione che offro, perciò nel complesso sono abbastanza inutili. Infine ci sarebbero i ragazzi che accolgo dalle scuole professionalizzanti, nel loro caso però si tratta di uno stage per cominciare a lavorare e nella maggior parte dei casi poi, una volta terminato, tornano a completare i loro studi».
I suoi colleghi hanno lo stesso problema?
«Il mio è un problema che stiamo vivendo tutti, in maggiore o minore entità. Io non mi trovo in un momento in cui sono in grave carenza di manodopera, perché di collaboratori ne ho, alcuni da 11 anni. L’azienda però è in crescita, lenta ma costante. Non è nemmeno necessario che il candidato abbia esperienza nel campo, perché di quella me ne occupo io personalmente: si parte da uno stipendio tabellare e si pianifica assieme la crescita professionale ed economica».
Di che cifre parliamo?
«Si parte da un apprendistato di 800 euro per poi arrivare a ed uno stipendio fisso, stabilito dai sindacati, di 1100 al quale vanno aggiunti rimborsi e percentuali. L’offerta è sempre quella, se non inferiore in certi casi, perciò non saprei proprio come trovare una soluzione a questo problema».