Furti di farmaci negli ospedali veneti, spunta l’ombra della camorra: «Possibili legami con il clan Licciardi di Napoli»

Sabato 9 Settembre 2023 di Angela Pederiva
Furti di farmaci negli ospedali veneti, spunta l’ombra della camorra: «Possibili legami con il clan Licciardi di Napoli» (foto d'archivio)

Si allunga l’ombra della camorra dietro i furti di farmaci negli ospedali del Veneto. Dopo quasi dieci anni, si riapre il giallo dei colpi in serie messi a segno nella notte fra il 9 e il 10 febbraio 2014, quando erano state prese di mira quattro strutture sanitarie di Padova, Monselice, Piove di Sacco e San Donà di Piave.

Per le razzie che oggi fanno riferimento all’Ulss 6 Euganea, il cui valore sfiora il milione di euro, erano già finiti a processo 3 romeni, ma un’inchiesta della Direzione distrettuale antimafia di Bologna allarga lo scenario a 17 campani, per i quali il 14 settembre sarà celebrata l’udienza preliminare: secondo gli inquirenti, i costosi antitumorali e gli altri medicinali salva-vita sarebbero stati rivenduti nel mercato nero italiano ed estero, grazie anche alla protezione del temibile clan Licciardi di Secondigliano.

LE INCURSIONI

A distanza di un decennio, la vicenda torna dunque di attualità. Se l’assalto allo Iov di Padova era stato solo tentato e il raid al nosocomio di San Donà di Piave era rimasto nelle cronache dell’epoca (con perdite stimate in 200.000 euro), le incursioni a Monselice e a Piove di Sacco hanno avuto significativi sviluppi giudiziari, interessanti visto anche il conto da 950.000 euro passato dalle ex Ulss 17 e 16 all’attuale 6 Euganea. Nella delibera che incarica l’avvocato Andrea Biasia di curare la costituzione di parte civile, il direttore generale Paolo Fortuna precisa che «i paralleli procedimenti penali instaurati innanzi al Tribunale di Padova non sono ancora pervenuti all’individuazione di un colpevole» e che «il rilevante danno economico subito dall’Azienda in seguito agli eventi di furto descritti non è stato ancora integralmente indennizzato dalle Compagnie assicurative né risarcito dai presunti responsabili».

I DUE FILONI

Occorre decisamente parlare al plurale, dato che i filoni sono due. Da un lato, a Padova dal 2019 sono in corso i procedimenti a carico dei 3 romeni accusati di essere gli esecutori materiali del duplice blitz, con tutte le incognite legate al fatto che almeno due degli imputati non si troverebbero più in Italia, tanto che per uno è stato pronunciato il non doversi procedere per la mancata conoscenza della pendenza del processo. Dall’altro lato, a Bologna stanno per approdare davanti al gup i risultati dell’operazione “Caduceo”, condotta nel 2016 dai carabinieri di Ferrara sotto il coordinamento della Dda dell’Emilia Romagna. I due episodi veneti rientrerebbero infatti nel quadro di un’organizzazione molto più complessa, ricostruita attraverso 60.000 pagine di documenti raccolti in una ventina di faldoni, grazie anche alle intercettazioni telefoniche. Stando ai riscontri dell’Antimafia, c’era chi individuava gli obiettivi, chi commetteva le predazioni, chi effettuava i trasporti, chi gestiva lo smercio dei farmaci per il trattamento di patologie oncologiche e croniche quali sclerosi multipla, diabete, artrite, anemia e disturbi della fertilità. Malattie gravi, per cui il procuratore Giuseppe Amato aveva parlato espressamente di «fenomeni particolarmente odiosi», considerate le conseguenze sui pazienti che rischiavano ad esempio di restare senza chemioterapia. 

I REATI

Arraffato soprattutto al Nord, il bottino sarebbe stato stoccato in Campania e suddiviso a seconda delle destinazioni. I medicinali di fascia A e C, acquistabili dai cittadini, attraverso alcuni rappresentanti in pensione sarebbero stati piazzati in 8 farmacie territoriali di Piemonte, Liguria e Lombardia. Invece i prodotti di fascia H, essenzialmente antitumorali che possono essere somministrati solo dalle strutture ospedaliere, sarebbero finiti oltre confine, attraverso una società costituita all’estero. Va ricordato che nel 2018 in Germania era scoppiato lo scandalo dell’importazione illegale, che non si cura certo dell’adeguata conservazione delle confezioni. Non a caso figurano anche commercio o somministrazione di medicinali guasti o imperfetti fra le ipotesi di reato, in aggiunta a furto aggravato, associazione a delinquere, ricettazione e appartenenza ad associazione camorristica. 

IL PIZZO

Gli inquirenti ritengono infatti che il sodalizio criminale potesse agire grazie alla copertura del clan Licciardi, al quale sarebbero stati versati 50.000 euro una tantum e altri 10.000 ogni mese, in cambio di supporto logistico e libertà di movimento. Secondo la difesa si sarebbe trattato “soltanto” di pizzo, mentre per l’accusa questo fatto documenterebbe un legame tra i grossisti e la camorra, a cui almeno alcuni sarebbero stati affiliati. Conclusioni che non sorprendono la Società italiana di farmacia ospedaliera, che in un documento citato nel 2018 dal settimanale

L’Espresso, si esprimeva così sui furti nel settore: «Le ipotesi investigative sono confermate da dati incontrovertibili che fanno presumere la presenza delle organizzazioni criminali mafiose». Per passare dai sospetti alle prove, bisognerà attendere l’eventuale processo che scaturirà dall’udienza preliminare di giovedì prossimo. Nulla è scontato: è trascorso un decennio e la prescrizione incombe, anche se la recidiva contestata ad alcuni dei 17 indagati potrebbe allungare i tempi della procedibilità.

Ultimo aggiornamento: 17:10 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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