Behnaz, 27 anni, fuga dai talebani: «La mia seconda vita a Padova»

Mercoledì 1 Marzo 2023 di Iris Rocca
La nuova vita di Behnaz con le sorelle "adottive"

PADOVA - La prima vita di Behnaz inizia in Afghanistan, ad Herat. La sua “seconda” comincia, invece, in Italia, ad Albignasego.

Se nel primo Paese ha iniziato a camminare, nel secondo ha imparato ad andare in bicicletta. A piacerle è il senso di libertà, il vento tra i capelli, anche se tenuti a bada dal velo. Behnaz ha 27 anni, ma nei documenti 30. Non è l’età in cui imparare ad usare la bici in Italia, né in Afghanistan, dove le donne non possono neppure salirci. Ed era questo il suo lavoro, anzi la sua missione: insegnare a ciascuna donna afghana, anche a quella nel villaggio più remoto, quali fossero i suoi diritti prima che i suoi doveri. 

L’OBIETTIVO
Un processo di educazione ed evoluzione femminile che è andato disgregandosi nell’agosto 2021, quando il ritorno dei talebani ha riportato il Paese indietro al secolo scorso, e le donne con esso, rendendole solo figlie di, mogli di, madri di, senza la dignità e le opportunità dovute come persone. Un mondo nuovo nel quale Behnaz era in pericolo, a causa di quel lavoro.
Un mondo vecchio dal quale mettersi in fuga attraverso i corridoi militari del governo italiano verso un campo in Abruzzo, poi in Liguria, infine in Toscana, con il sogno di raggiungere Padova, per poter studiare all’università.
A portarla ad Albignasego a novembre 2021 è stata una famiglia che ha pensato che la camera libera in casa sarebbe potuta essere assegnata ad una persona che avesse bisogno di un riparo sicuro. Un’idea condivisa da mamma, papà e tre figlie, che hanno candidato la propria abitazione al Progetto Embracing del comune di Padova, che hanno familiarizzato con Refugees Welcome che si occupa dei migranti che in Italia acquisiscono un riconoscimento legale, ma ancora non hanno un’autonomia abitativa, che hanno abbracciato Behnaz fin dalla prima videochiamata. 

NUOVA REALTÀ
Ed è così, tra le cure della sua nuova famiglia, che la giovane afghana ha trascorso gli ultimi 18 mesi. Una laurea triennale in diritti umani nello zainetto imbarcato per l’Italia ed un nuovo percorso di studi in inglese nell’ateneo patavino dal titolo “Human rights and multi-level governance” in cui acquisire le capacità e gli strumenti per analizzare, valutare e gestire i fenomeni politici, sociali ed economici del nostro tempo e il loro impatto. 

LA TESTIMONIANZA
«Il mio sogno è quello di continuare ad impegnarmi nel mondo dei diritti umani, io che ne ho visto la privazione, ma che voglio essere libera di poter tornare, un indomani, in Afghanistan». Sì, perché per ora questo desiderio è irrealizzabile: a non consentirlo è proprio lo status di rifugiata politica, ottenuto velocemente e che le consente di viaggiare in tutto il mondo fuorché di rientrare in quel Paese così pericoloso per lei. Il tutto con un passaporto nuovo con la residenza ad Albignasego ed un passaporto vecchio consegnato all’arrivo a Roma affinché non cadesse nella tentazione di rischiare la vita rientrando a Herat. 
«Una città nella quale sono cresciuta da privilegiata, con una famiglia acculturata ed illuminata, che mi ha fatto studiare e non sposare da bambina. Un diritto che volevo condividere con le mie coetanee e connazionali, raggiungendole nei villaggi o nel deserto, tutelando i casi più complicati con la mia associazione, spiegando loro il tipo di società che avremmo potuto costruire. Spiegavo che non dovevano per forza restare incinte ogni 9 mesi, eppure anche per un messaggio così semplice, considerato controcorrente ed oltraggioso, sono stata minacciata da alcuni leader religiosi e i responsabili dell’associazione mi hanno protetta a Kabul. Trovarmi lì quando i talebani hanno preso il potere mi ha consentito di scappare in tempo». 

LA FUGA
Uno zainetto ed un pc: una fuga dai pericoli, ma non dalla paura. «Dal primo giorno qui non mi ha mai abbandonata il terrore per ciò che potrebbe accadere alla mia famiglia – confessa commossa anche ora che è stata raggiunta da uno dei suoi fratelli, ospitato da una famiglia di Selvazzano. - Vicini di casa, conoscenti, tutti hanno iniziato a far terra bruciata intorno ai miei. La situazione ha iniziato a stringersi in maniera pesante, soffocante. Alcuni li hanno minacciati dicendo che li avrebbero segnalati ai talebani, così i miei hanno bruciato tutte le mie interviste, gli scritti, i documenti di lavoro. Ho paura possano essere vittime di torture per quel che dico o faccio. O che siano lentamente messi ai margini della società: i miei fratelli hanno già perso il lavoro, ad esempio» racconta, pur rassicurata dai messaggi via web, nei giorni in cui ad Herat non ci sono restrizioni di connessione o elettricità. Con loro, che mai hanno mancato di supportarla nella sua rivoluzione educativa, condivide i suoi piccoli successi.

VITA IN ITALIA
Se in Afghanistan parlava alle giovani afghane, in Italia parla ai giovani italiani, girando le scuole superiori di Padova per mostrare la cartina del suo Paese, le foto di ogni villaggio visitato, i risultati ottenuti, come accadrà ad Albignasego oggi 20.45. In una serata in villa Obizzi dal titolo “Donne orfane di virgole nere” si presenterà e spiegherà la sua professione introdotta da Denise Barison e dalla commissione pari opportunità del Comune, tra musica e poesie. 
Behnaz spiegherà la situazione afghana: dalla storia alla religione, fino alla condizione della donna, analizzando educazione, lavoro, relazioni, matrimoni, proprietà, diritti civili e discriminazioni di genere. Momenti in cui insegna a non dare mai per scontati i diritti di cui si beneficia, lo status raggiunto, l’educazione alla libertà, «piccoli tesori da accudire con cura e impegno. Come lo è poter andare a letto senza paure per sé, per la propria famiglia, per la nazione. Sono spaventata dal futuro dell’Afghanistan perché stiamo perdendo tutto, azzerando gli ultimi vent’anni. Lentamente i talebani stanno facendo il lavaggio del cervello al popolo: un martellante convincimento psicologico col quale gli uomini stanno cambiando il loro modo di pensare. Attraverso il quale vogliono anche rimettere la donna al “suo” posto». Il posto sbagliato.
 

Ultimo aggiornamento: 16:31 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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