I frati dell'eremo: «Nel silenzio, isolati dal mondo, ma temiamo il contagio»

Venerdì 27 Marzo 2020 di Lucio Piva
All'eremo del Monte Rua:uno dei cinque frati camaldolesi che compongono la piccola comunità
TORREGLIA - Lassù non si ascolta la radio, non c’è la tv e meno che mai il collegamento web. Ai Camaldolesi dell’eremo del Monte Rua, la notizia del dramma del coronavirus che si stava espandendo in Italia, fagocitando regioni intere, è arrivata sull’onda del silenzio. L’hanno infatti prima percepita dai mancati rintocchi festivi delle campane della chiesa di Euganeo lo scorso 23 febbraio. Trovandone poi conferma dalle voci “del mondo”, attraverso il telefono ed oltre la porta del loro convento.

Ma nessun luogo al mondo è un’isola. Nemmeno un monastero che in 500 anni di vita, di momenti di emergenza ne ha visti tanti, passando dalle epidemie alle guerre. Al Monte Rua nessuno insomma si sente estraneo al clima di preoccupazione che si respira “fuori”. Non fosse per il fatto che accanto ad una dimensione spirituale, ne convive un’altra, più pratica, di vita quotidiana.

LA QUOTIDIANITÀ
«Non è vero - dice uno dei cinque monaci che abitano l’Eremo - che non abbiamo timore del rischio di contagio. Ne parliamo nei momenti di vita comune, anche se non abbiamo radio, tv e giornali. Del resto, la nostra comunità non è autosufficiente. Dobbiamo pur uscire per fare la spesa, acquistare i medicinali, recarci alla posta o in Comune. E in tal senso dobbiamo sottoporci a tutte le misure di cautela».

In che modo si possa essere posti puntualmente al corrente di norme, prescrizioni e ordinanze, però, non è il principale problema che assilla i monaci. Poco importa se in questi giorni non arrivano in cima al Rua fedeli o visitatori che possano diffondere qualche stralcio di attualità. «Il sindaco di Torreglia - spiegano i religiosi - ci fa avere ogni disposizione che riguarda la comunità civile di cui facciamo parte. E poi funziona una sorta di “ponte informativo” con la vicina Villa Immacolata, altro avamposto religioso, da cui le direttive della Diocesi approdano alla comunità monastica».

I CONTATTI
I cinque monaci dell’Eremo vivono del resto isolati nelle loro cellette non più di due ore al giorno. Il resto è vita di comunità, tanto negli aspetti religiosi quanto in quelli di condivisione quotidiana. C’è poi la dimensione spirituale, a dare un significato più pregnante al silenzio e alla “lontananza”. Sulla cima del Rua non si assiste allo spaesamento con il quale molte realtà parrocchiali vivono l’assenza di incontro con la comunità. Non c’è quindi lo stesso sbigottimento legato alla proibizione di ogni forma di incontro. «Il nostro priore - affermano i monaci - sostiene che se manca così tanto il contatto, significa che anche noi siamo chiamati a essere comunità e che quando la ritroveremo la gioia sarà grande».

Dello stesso parere di padre Antonio Benzoni, il camaldolese a capo della piccola comunità dell’Eremo, padre Stefano Visentin, abate dell’Abbazia di Praglia. Dove pure i monaci non hanno radio, tv, ma sono buoni conoscitori dei meccanismi comunicativi del web. «Siamo più autosufficienti dei Camaldolesi dell’Eremo - spiega infatti l’abate - ma non per questo non ci mancano i riti, l’incontro con fratelli di altre comunità. È come se affrontassimo un periodo di lunghi esercizi spirituali, ponendoci continuamente domande sulla nostra vita e sulla nostra scelta».

LA PREGHIERA
Poi c’è ovviamente la preghiera. Ed anche quella ha legami con il “mondo”. «Pregando - spiegano i camaldolesi dell’Eremo del Rua - diciamo al Signore che in questo momento sia fatta la Sua volontà. Sapendo però che anche gli uomini non devono restare passivi. E che si devono attivare, proprio in ragione del dramma che stiamo attraversando, per fare in modo che l’aiuto divino possa davvero compiersi per il bene di tutti». 
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