Sara Doris: «Vi racconto papà Ennio, il gigante che volava con i piedi per terra»

Mercoledì 25 Ottobre 2023 di Angela Pederiva
Sara Doris

«Il ricordo più bello che ho di mio papà? Fra i tanti, uno legato al Veneto.

Siamo nel 2016, i miei genitori tornano da una convention in Spagna e io arrivo dalla mia casa di Milano. Ci incontriamo a Venezia, una città a loro molto cara. Ceniamo in piazza San Marco, dove risuona la musica del Quadri e del Florian. Lui mi chiede di ballare un valzer e insieme danziamo sotto le Procuratie...». Questa è la confidenza che Sara Doris affida al Gazzettino, tutto il resto è nelle 224 pagine di Ennio, mio padre (Piemme), la biografia-memoir in uscita il 31 ottobre in cui la figlia del fondatore di Mediolanum rievoca il percorso privato e pubblico del visionario partito da Tombolo.


LA VILLA
Un racconto intimo, come la sede dell’anteprima nazionale: la villa di famiglia nella campagna tra Padova e Treviso, per la prima volta aperta alla stampa, a quasi due anni dalla morte di Doris. «A quanti ci seguono in streaming, do una notizia: Tombolo esiste veramente, anche se questa storia è talmente perfetta che io ad un certo punto ho avuto il dubbio che fosse il frutto della fantasia di Ennio, un narratore straordinario», scherza Alessandro Sallusti, direttore del Giornale, aprendo la conversazione con l’autrice. Nella platea gremita di parenti e amici, da una parte siedono il fratello Massimo e la mamma Lina, che a tratti si commuove ma alla fine sorride: «Mi sento parte di quello che ha creato Ennio, perché l’abbiamo sognato insieme. Quando parlavamo di futuro, i nostri occhi brillavano». Dall’altra, accanto al direttore commerciale Stefano Volpato, c’è il presidente del gruppo bancario Giovanni Pirovano, che ripete quattro volte l’aggettivo «grande» per descrivere il suo predecessore: «Banchiere, patriota, economista e uomo di fede, sempre coniugata alla carità. Nelle sue due ultime settimane di vita, Ennio mi ha chiesto di aiutare con discrezione una quindicina fra operatori sociosanitari e addetti alle pulizie, che in ospedale gli confessavano le loro difficoltà economiche o familiari». 


LE BORSE DI STUDIO
Per portare avanti quella vocazione filantropica, da un anno è operativa la Fondazione Ennio Doris, di cui Sara è presidente (stessa carica che la 53enne riveste nella Fondazione Mediolanum, mentre è vicepresidente dell’omonima Banca, della quale Massimo è amministratore delegato). L’obiettivo è di sostenere annualmente 40 studenti meritevoli dell’Università di Padova, della Cattolica e del Politecnico di Milano, attraverso le borse di studio a cui saranno destinati i diritti del volume. «Sono davvero felice – dice la secondogenita del compianto banchiere – perché abbiamo scelto di fare questo primo evento di presentazione qui dov’è nato tutto e dove abbiamo sempre celebrato la vita. In fondo sono stati una festa anche i funerali di papà, una persona che non può essere delimitata in nulla. Anche nel suo essere andato altrove, lui continua a darci una forza incredibile. Lo dico per esperienza personale mia, di mio fratello e di mia madre: lo sentiamo sempre presente nella nostra famiglia e in quella allargata di Mediolanum. Ho scritto questo libro perché credo che la sua storia possa essere di grande ispirazione». 


LA NAVE
A darle lo spunto è stata una degli infermieri che hanno accudito Doris nell’ultimo periodo della malattia, sorpresa che quel paziente ricco e famoso sembrasse «uno di noi». Sottolinea l’autrice: «Ho pensato che sarebbe stato bello spiegare, a lei e a tutti, perché mio padre era effettivamente un uomo che ha saputo volare, ma allo stesso tempo anche tenere i piedi per terra». Fra i tanti aneddoti del volume, emblematico da questo punto di vista è quello riferito a Sara da un compagno delle elementari di Ennio, incrociato quasi per caso dopo una visita al cimitero: «Quando erano bambini, d’estate andavano in giro per i canali in secca a raccogliere il ferro, che poi portavano in giardino con il sogno di costruire una nave. Ecco la metafora di papà: lasciare un luogo sicuro per andare incontro all’ignoto, con quel desiderio di scoperta che l’ha sempre mantenuto giovane». Sul maxi-schermo scorre un filmato aziendale, in cui il banchiere motivava così i suoi family banker, visibilmente commosso: «Vogliamo lasciare un segno, che poi è l’unico scopo della mia vita. Per guadagnare bastava molto meno». In prima fila, Lina si asciuga le lacrime. Sua figlia la guarda: «Nella vita di ognuno ci sono incontri che sono incroci, perché permettono di imboccare una strada piuttosto che un’altra. Lo è stato anche quello tra i miei genitori: appena una settimana dopo averla conosciuta, papà andò davanti al parentado schierato e si dichiarò a mamma. Sicuramente aveva una dote innata: la chiarezza di visione». 


LE STELLE E LA LUCE
Ma l’amore è anche per il fratello Massimo, ripetutamente citato nel libro: «È un dono del cielo per me, è la roccia su cui so di poter sempre contare. Papà se ne stava andando e diceva a mamma: “Stai serena perché c’è Massimo”. È proprio così e infatti gliel’ho confessato: “Guarda che adesso sei un po’ anche il mio papà”. Ho avuto cinque figli, una scelta che mi ha portata a dedicare molto tempo alla famiglia nella riservatezza. Ma adesso che i ragazzi sono grandi, sapere che c’è mio fratello egregiamente alla guida dell’azienda mi permette di impegnarmi ancora di più nelle attività benefiche, visto che da nostro padre ho ereditato la sensibilità e l’empatia. Era un gigante, però non ha mai fatto sentire il suo peso, anzi ha insegnato a ciascuno di noi ad essere importante, ognuno nel proprio ruolo. In un palazzo conta l’architrave che tiene su tutto, ma non è meno utile il fregio che dà bellezza. L’importante è fare tutto al meglio delle proprie capacità e donare agli altri un po’ dei propri talenti. La sua lezione? Vietatissimo lamentarsi, non farsi mai bloccare dalla paura che pure è umano avere, pensare sempre che “c’è anche domani”, come gli aveva fatto notare nonno Alberto». Così si intitolerà il film-biopic di Giacomo Campiotti, in sala nel 2024. Intanto c’è il libro di Sara Doris: «Una notte eravamo in Sardegna e con il telescopio guardavamo il cielo. Papà mi disse: “Magari alcune di queste stelle sono già morte, perché la luce ci mette tempo a viaggiare nello spazio”. Ecco, con molta umiltà vorrei che queste mie pagine fossero la luce di mio padre Ennio, che continua a viaggiare nelle nostre vite». 
 

Ultimo aggiornamento: 19:59 © RIPRODUZIONE RISERVATA
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