PONTE NELLE ALPI - Oli? per Sanremo canterà Marco. E Danielle, Roberto, Amerigo, Lia... Oli? (scritto proprio con il punto di domanda) è il nome d'arte, o forse meglio dire l'io forte, resistente, di Marco. E Marco è Marco Poletto, classe 1996 di Polpet. Uno dei 46 ragazzi selezionati tra oltre 700 per giocarsi uno dei posti di Sanremo Giovani 2022. La prima selezione, quella kolossal, è andata. Ora il sogno è entrare negli 8 che il 15 dicembre in prima serata su Rai 1 si giocheranno i 2 posti tra i big del Sanremo vero e proprio. Per arrivarci Oli? continuerà a cantare, e cantarsi, in Smalto e tinta. «Sono contento per il brano ma si festeggia solo alla fine - dice subito quasi per smorzare le aspettative -. Adesso sono un po' stordito, ma anche pronto per spaccare con un pezzo che racconta me e un intero mondo che include tante altre persone».
Quando hai scritto Smalto e tinta?
«A febbraio, senza pensare a Sanremo, sull'onda del vissuto di quel momento. Poi con Riccardo Scirè dell'etichetta Kick&Snare ci siamo detti perché no? e lo abbiamo mandato, nonostante non sia un pezzo tipicamente sanremese».
Ti riconosci in un genere, o un artista?
«I generi, forse, si stanno sfaldando tra le influenze. La mia attitudine è punk, soprattutto nei testi, ma le linee guida sono pop: linguaggio popolare, volgare; parlo alle persone, per le persone. Ispirazioni? Non c'è qualcuno in particolare, ma ascolti che vanno da Dalla a Bowie, dai Beatles a Cremonini».
Chi è Oli?
«È quello che protegge il fanciullino pascoliniano Marco. Quello che prende la pioggia di emozioni per lui. Che ascolta la sua ingenuità e le dà una forma. È quello che salirà sul palco in minigonna, tacchi o truccato, perché è quello che ha voglia di fare. E dire».
Cosa c'è nei 25 anni di Marco?
«17 anni a Belluno, poi la partenza per Roma, per un'offerta di lavoro dai produttori di Mengoni, Baroni e Giorgia. E poi c'è una telefonata, quella: zio Roberto ha avuto un'ischemia. Zio era il papà che non avevo da quando il mio, a 11 anni, se ne è andato di casa. Sono volato a Treviso e gli ho tenuto la mano, lo supplicavo di restare. Poi ho capito fosse meglio, e giusto, lasciarlo andare. In quel momento il suo battito si è appiattito. Mamma era distrutta, ho dovuto chiamare io nonno Amerigo e nonna Lia per dirgli che loro figlio non c'era più. Ho chiamato nonno, l'amore della mia vita, e lui mi ha risposto grazie di avermelo detto tu. Lì la prospettiva è cambiata. Ho deciso di lasciare Roma e tornare dalla mia famiglia, ho finito il liceo, poi Padova, Latisana, di nuovo Belluno, il lockdown e ora Milano».
Di Belluno cosa resta?
«Il suo starmi stretta.
La musica, in tutto questo, cos'è?
«Alle medie quando era lo sfogo, le prime cotte buttate giù. Ora è le parole che non dico quando si parla. È il mio piano A, senza che ne esista uno B. Non mi sono mai visto in un ufficio o all'università, mi sono sempre sentito suonare. La malinconia mi appartiene particolarmente, ma nella mia musica c'è anche il divertimento di anni magari incasinati, ma belli. Tutto è tantissimi testi che aspettano il loro momento». Prima però Smalto e tinta, di Marco Poletto. Canta, Oli?.