Sanremo giovani, il bellunese Marco Poletto in arte "Oli?" tra i 46 finalisti

Venerdì 29 Ottobre 2021 di Alessandro De Bon
Marco Poletto in arte Oli?

PONTE NELLE ALPI - Oli? per Sanremo canterà Marco. E Danielle, Roberto, Amerigo, Lia... Oli? (scritto proprio con il punto di domanda) è il nome d'arte, o forse meglio dire l'io forte, resistente, di Marco. E Marco è Marco Poletto, classe 1996 di Polpet. Uno dei 46 ragazzi selezionati tra oltre 700 per giocarsi uno dei posti di Sanremo Giovani 2022. La prima selezione, quella kolossal, è andata. Ora il sogno è entrare negli 8 che il 15 dicembre in prima serata su Rai 1 si giocheranno i 2 posti tra i big del Sanremo vero e proprio. Per arrivarci Oli? continuerà a cantare, e cantarsi, in Smalto e tinta. «Sono contento per il brano ma si festeggia solo alla fine - dice subito quasi per smorzare le aspettative -. Adesso sono un po' stordito, ma anche pronto per spaccare con un pezzo che racconta me e un intero mondo che include tante altre persone».
 

Quando hai scritto Smalto e tinta?
«A febbraio, senza pensare a Sanremo, sull'onda del vissuto di quel momento. Poi con Riccardo Scirè dell'etichetta Kick&Snare ci siamo detti perché no? e lo abbiamo mandato, nonostante non sia un pezzo tipicamente sanremese».
 

Ti riconosci in un genere, o un artista?
«I generi, forse, si stanno sfaldando tra le influenze. La mia attitudine è punk, soprattutto nei testi, ma le linee guida sono pop: linguaggio popolare, volgare; parlo alle persone, per le persone. Ispirazioni? Non c'è qualcuno in particolare, ma ascolti che vanno da Dalla a Bowie, dai Beatles a Cremonini».
 

Chi è Oli?
«È quello che protegge il fanciullino pascoliniano Marco. Quello che prende la pioggia di emozioni per lui. Che ascolta la sua ingenuità e le dà una forma. È quello che salirà sul palco in minigonna, tacchi o truccato, perché è quello che ha voglia di fare. E dire».
 

Cosa c'è nei 25 anni di Marco?
«17 anni a Belluno, poi la partenza per Roma, per un'offerta di lavoro dai produttori di Mengoni, Baroni e Giorgia. E poi c'è una telefonata, quella: zio Roberto ha avuto un'ischemia. Zio era il papà che non avevo da quando il mio, a 11 anni, se ne è andato di casa. Sono volato a Treviso e gli ho tenuto la mano, lo supplicavo di restare. Poi ho capito fosse meglio, e giusto, lasciarlo andare. In quel momento il suo battito si è appiattito. Mamma era distrutta, ho dovuto chiamare io nonno Amerigo e nonna Lia per dirgli che loro figlio non c'era più. Ho chiamato nonno, l'amore della mia vita, e lui mi ha risposto grazie di avermelo detto tu. Lì la prospettiva è cambiata. Ho deciso di lasciare Roma e tornare dalla mia famiglia, ho finito il liceo, poi Padova, Latisana, di nuovo Belluno, il lockdown e ora Milano».
 

Di Belluno cosa resta?
«Il suo starmi stretta.

Restano persone fantastiche come la prof di italiano Bronzato, che è stata dietro alla mia poca voglia di scuola riuscendo a farmi innamorare della letteratura, o come mamma Danielle, che ha sempre accolto la mia voglia di vivere di musica. Ma resta anche la terra di ciàcole che è, di falso affetto di quando ho vinto il Premio Lunezia 2019, o che appena tornato da Roma è diventato felicità per il mio presunto fallimento. Quando ero laggiù ero felice di essere un puntino insignificante tra tanti».

La musica, in tutto questo, cos'è?
«Alle medie quando era lo sfogo, le prime cotte buttate giù. Ora è le parole che non dico quando si parla. È il mio piano A, senza che ne esista uno B. Non mi sono mai visto in un ufficio o all'università, mi sono sempre sentito suonare. La malinconia mi appartiene particolarmente, ma nella mia musica c'è anche il divertimento di anni magari incasinati, ma belli. Tutto è tantissimi testi che aspettano il loro momento». Prima però Smalto e tinta, di Marco Poletto. Canta, Oli?.
 

Ultimo aggiornamento: 30 Ottobre, 09:20 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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