Intercettati per la gara del gas, mettono nei guai il primario a loro insaputa

Sabato 24 Aprile 2021 di Davide Piol
Intercettati mettono nei guai il primario a loro insaputa

L’INCHIESTA BELLUNO - «Hai sentito di Bianchini? Sta impestando l’ospedale…». L’inchiesta per epidemia colposa, incentrata sul primario di Otorinolaringoiatra di Belluno, si intreccia a doppio filo a quella della gara del gas. Anzi sarebbe nata proprio da lì, a seguito di una chiacchierata al telefono tra due persone, che la Guardia di Finanza, delegata dalla Procura, stava intercettando mentre stava ricostruendo la vicenda della presunta turbata libertà degli incanti. In quel fascicolo gli indagati sono tre: il sindaco di Feltre Paolo Perenzin, l’amministratore unico di Bim Infrastrutture Bruno Zanolla, il direttore tecnico della società Giovanni Piccoli. Le persone intercettate invece erano stati sei. Insieme agli indagati, anche il presidente della Provincia Roberto Padrin, il sindaco di Belluno Jacopo Massaro, la rup Maura Florida. Fonti attendibili raccontano che due di loro, al telefono, si sarebbero sfogati su quanto stava accadendo in ospedale lasciandosi andare a commenti pesanti sul dottor Bianchini.

IL CASO

Si parla dei primi giorni di marzo 2020. Due settimane prima, il primario aveva fatto una vacanza a Ko Samui, in Thailandia, insieme alla moglie e a una coppia di amici. Secondo quanto ricostruito a posteriori dalla Procura, Bianchini riprese a lavorare subito senza comunicare alla direzione medica di esser appena rientrato da un paese classificato a rischio epidemico. Il 3 marzo, nonostante la comparsa dei primi sintomi simil-covid, continuò a visitare pazienti senza mascherina. Fino al 9, quando eseguì il tampone e risultò positivo. Le voci, però, avevano già cominciato a circolare. Non solo tra i colleghi dell’ospedale, ma anche tra i molti pazienti che il primario aveva visitato in quel periodo. Erano emerse delle positività. Poche, ma sufficienti a gettare nel panico le persone che avevano avuto contatti con Bianchini. Insomma, il fatto era notorio. Lo sapevano tutti, fuorché la Procura.

LE INTERCETTAZIONI

Ma la notizia di reato è arrivata lo stesso agli inquirenti. In una delle numerose chiamate, appunto, tra due persone intercettate nell’inchiesta “A tutto gas”. In realtà, il Codice di procedura penale limita l’utilizzabilità delle intercettazioni al di fuori del procedimento per cui sono state disposte. Cioè possono essere utilizzate in altri procedimenti solo se aperti per reati gravi che, a loro volta, avrebbero consentito le intercettazioni. Non è il caso di Bianchini. Ma, secondo la giurisprudenza, ciò che la Procura apprende dalle telefonate può valere come notizia di reato. Come occasione per aprire un fascicolo e cominciare l’indagine. È ciò che è accaduto.

IL FASCICOLO

Insieme a Bianchini sono indagati anche Raffaelle Zanella, ex direttore medico dell’Ulss Dolomiti, Antonella Fabbri, responsabile dell’ufficio Affari Generali e Legali dell’azienda, e i componenti dell’ufficio Procedimenti disciplinari Cristina Bortoluzzi e Tiziana Bortot. L’ipotesi di reato, per loro, è di falso ideologico in atto pubblico e favoreggiamento personale per aver coperto e aiutato il primario a eludere le indagini della Guardia di Finanza. Sulla base degli accertamenti eseguiti, il pm Paolo Luca aveva chiesto per Bianchini, Zanella e Fabbri, la sospensione dal lavoro per tre mesi. È stata respinta in modo definitivo dalla Cassazione il 15 aprile. Al momento, però, l’indagine è ancora aperta e potrebbero esserci ulteriori sviluppi. Chiusa, invece, l’altra di inchiesta, quella relativa alla gara del gas su cui la Procura ipotizza la turbata libertà degli incanti. Gli avvocati hanno ricevuto la copia degli atti e stanno studiando il corposo fascicolo per capire come impostare la strategia difensiva. Nei prossimi giorni si saprà se qualcuno dei tre indagati deciderà di farsi interrogare.

Ultimo aggiornamento: 08:22 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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