Focolaio in ospedale dopo la vacanza in Thailandia, primario assolto dall'accusa di epidemia colposa

Venerdì 16 Aprile 2021 di Davide Piol
Roberto Bianchini
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BELLUNO - «Inammissibile». La Cassazione ha rigettato il ricorso del procuratore Paolo Luca con cui veniva chiesta una misura interdittiva per tre dei cinque medici coinvolti nell'inchiesta per epidemia colposa al San Martino di Belluno. Ossia per Roberto Bianchini, 61enne primario di Otorinolaringoiatria, per Raffaelle Zanella, 60 anni ed ex direttore medico dell'Ulss Dolomiti, e per Antonella Fabbri, 58 anni, responsabile dell'ufficio Affari Generali e Legali dell'azienda. La richiesta del pm era di sospenderli dal servizio per tre mesi ma è stata respinta dal gip di Belluno, dal Tribunale del Riesame di Venezia e ieri, in modo definitivo, anche dalla Cassazione.

L'ACCUSA

Roberto Bianchini era accusato di aver provocato il primo focolaio all'ospedale di Belluno dopo essere tornato da una vacanza a Ko Samui (Thailandia), dal 14 al 24 febbraio, insieme alla moglie e a una coppia di amici.

Secondo quanto ricostruito dalla Procura, il primario riprese a lavorare subito senza comunicare alla direzione medica di esser appena rientrato da un paese classificato a rischio epidemico. Il 3 marzo, nonostante la comparsa dei primi sintomi simil-covid, continuò a visitare pazienti senza mascherina. Fino al 9, quando eseguì il tampone e risultò positivo. Indagati, insieme a lui, Raffaele Zanella, Antonella Fabbri, e i componenti dell'ufficio procedimenti disciplinari dell'Uls Dolomiti Cristina Bortoluzzi e Tiziana Bortot. L'ipotesi di reato, per loro, era di falso ideologico in atto pubblico e favoreggiamento personale per aver coperto e aiutato il primario a eludere le indagini della Guardia di Finanza. Questi accertamenti spinsero il pm a chiedere per Bianchini, Zanella e Fabbri, la sospensione dal lavoro per tre mesi. Nei confronti del primario la richiesta trovava spunto non solo dalla «gravità del reato commesso», cioè l'epidemia colposa aggravata, ma anche dal «pericolo di reiterazione di reati della stessa specie». Quanto agli altri due apparivano attuali, secondo la Procura, «tanto il pericolo di inquinamento delle prove, quanto quello di reiterazione dei delitti della stessa specie». Ci fu un primo rigetto dal gip di Belluno. E poi un secondo al Tribunale del Riesame. Il giudice veneziano dichiarò che le condotte del primario furono caratterizzate «da colpevole sottovalutazione della situazione e da chiara superficialità». Ma aggiunse che non è possibile stabilire un nesso causale, necessario per la configurazione del reato di epidemia colposa, tra il suo comportamento e lo scoppio del focolaio. Nel caso in cui non fosse partito da lui, non si può dire nemmeno che l'abbia aggravato, dato che non possono essere escluse «fonti di contagio alternative». Dopo aver smontato anche i gravi indizi di colpevolezza a carico di Zanella e Fabbri, il giudice rigettò la richiesta del pm bellunese che portò la questione a Roma.


DIFENSORI SODDISFATTI

La notizia è stata accolta con soddisfazione da parte degli indagati e della difesa. «Leggeremo la motivazione per capire fino a dove si sia spinta la Cassazione nella valutazione del caso hanno commentato ieri gli avvocati De Vecchi e Moretti Siamo contenti che i provvedimenti del Tribunale della Libertà di Venezia e del gip di Belluno siano stati confermati a un livello così autorevole». La decisione della Cassazione, pur riguardando solo l'aspetto della misura interdittiva, mette però un punto fermo sull'intera vicenda. «Sono amareggiato ha dichiarato, a caldo, il procuratore Paolo Luca Il ricorso aveva esposto le ragioni in diritto che sembravano fondate. Sulla base di questi elementi si chiederà l'archiviazione». Capitolo chiuso.

Ultimo aggiornamento: 11:19 © RIPRODUZIONE RISERVATA
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