Candidata col velo insultata sui social, la Procura archivia: non può trovare i responsabili perchè non ha accesso a Facebook

Giovedì 4 Novembre 2021 di Davide Piol
Candidata insultata per il velo, la Procura archivia
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LONGARONE - «Oggi mi sento “straniera” in tutti i sensi, una parola con cui mi hanno sempre etichettato e che ho sempre rifiutato». C’è sconforto e delusione nelle parole che Assia Belhadj, la 37enne italo-algerina che vive a Longarone, ha affidato ieri ai social. Il giudice ha archiviato anche la seconda inchiesta, quella che riguardava le pesanti offese ricevute durante le elezioni regionali del 20 e 21 settembre 2020. Assia si era presentata con “Il Veneto che vogliamo” e aveva pubblicato una foto con il velo musulmano che in soli 4 giorni aveva ricevuto migliaia di insulti, minacce e diffamazioni a sfondo razziale. Per pm e giudice è stato impossibile risalire all’identità dei leoni da tastiera e alla data di pubblicazione dei commenti. Perciò il caso è stato archiviato.

L’INTEGRAZIONE
Assia Belhadj è nata in Algeria ma vive da più di 16 anni a Belluno dove è mediatrice interculturale e attivista per i diritti umani. Proprio lei che si è battuta da sempre per il dialogo interreligioso, l’integrazione e la necessità di creare ponti. «Il mio percorso in Italia non è stato per niente facile – ha raccontato – ma ho sempre cercato di essere a favore della società nonostante tutte le difficoltà e gli ostacoli. Mi è stato detto spesso che era una perdita di tempo, ma non li ho mai ascoltati. Oggi ho capito che avevano ragione!». 

L’ARCHIVIAZIONE
Dopo gli insulti ricevuti su Facebook, durante la campagna elettorale di un anno fa, Assia si era rivolta all’avvocato Enrico Rech per sporgere denuncia ma non è servito a nulla.

Ieri, infatti, il giudice si è pronunciato a favore dell’archiviazione. «Chi doveva decidere – si legge nel post pubblicato ieri sera su Facebook – ha deciso che le più di 100 persone che si sono permesse di offendermi, prendermi in giro, minacciarmi, deridere me e la mia religione, chiamare “straccio” il velo che porto, dirmi che mi devo curare, associare la mia persona all’Isis, darmi della medievale: non possono essere processate perché non si riesce a risalire alla loro identità e non si riesce a risalire alla data di pubblicazione dei post». Una difficoltà che era stata sottolineata anche dal pm nella richiesta di archiviazione.

«Noi c’eravamo opposti – ha spiegato Assia – sottolineando che la Procura aveva scritto di non essere riuscita a fare indagini sui profili Facebook perché “la rete in uso all’ufficio non consente l’accesso a Facebook” e che in passato queste indagini venivano svolte da personale che usava il proprio computer privato e il proprio profilo Facebook personale». L’avvocato Enrico Rech ha suggerito di cercare gli indirizzi mail necessari per l’iscrizione a Facebook (e da lì risalire ai mittenti) ma alla fine il giudice ha accolto la richiesta del pm. «Pensavo che nel 2021 fosse un’operazione banale – ha continuato Assia – ma è stato deciso di non fare questo approfondimento. È un’ingiustizia da parte di un paese di diritti, europeo, moderno e civile». È il secondo muro contro cui si scontra Assia Belhadj. Anche l’inchiesta sulla presunta discriminazione sul lavoro, a Domegge di Cadore, è scoppiata come una bolla di sapone. In quel caso l’italo-algerina sarebbe dovuta entrare in un’azienda come addetta ai controlli anti-covid. Tuttavia, appena aveva ricevuto la sua carta d’identità il datore di lavoro era scomparso lasciandola a casa. «Mi auguro che il mio messaggio arrivi al Presidente della Repubblica – ha concluso Assia – come si può continuare a vivere in un paese che non ci garantisce giustizia, come si può parlare dell’integrazione prima di garantire diritti e giustizia alle persone, come si può continuare ad essere cittadini attivi a favore della loro società se questo paese non garantisce giustizia?». 

Ultimo aggiornamento: 5 Novembre, 12:31 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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