Borgo Valbelluna, il comune di Franco e D'Incà con due aziende in crisi: «I ministri non bastano»

Sabato 30 Ottobre 2021 di Davide Piol
La Ceramica Dolomite (poi Ideal Standard) a Trichiana di Borgo Valbelluna
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BORGO VALBELLUNA «Siamo tutti preoccupati per le sorti di Ideal Standard: io, lì dentro, ho i miei nipoti».

Don Egidio, parroco di Trichiana, riassume in poche parole il clima che si respira in paese da quando la proprietà ha comunicato al Ministero dello Sviluppo Economico di voler chiudere lo stabilimento. Un dramma per tutti ma in particolar modo per le 450 persone che in quell’azienda ci lavorano. «Sono famiglie – continua don Egidio – che vengono messe in croce e che ricordiamo sempre durante la messa della domenica. Speriamo che le autorità riescano a fare un mezzo miracolo e a salvare lo stabilimento». C’è un filo di speranza che percorre le strade di Trichiana, a cui si aggiunge un pizzico di disincanto. I cittadini sanno bene che la situazione di Ideal Standard è grave e forse compromessa in modo irrimediabile. Don Egidio, parroco del paese da ormai 10 anni, non si arrende. «La speranza è l’ultima a morire – sottolinea – Io qui ci sono nato. Ho visto aprire la Ceramica Dolomite e la Zanussi e poi le ho viste spegnersi. I ministri non bastano. La provincia ha sempre sofferto ed è necessario che quel filo di speranza a cui ci siamo aggrappati non si rompa». C’è però il rischio concreto che questo accada e serve un piano b. «Una volta – racconta don Egidio – prendevano la valigia e se andavano. Ora le fabbriche possono anche assorbirli ma non tutti si adattano. Speriamo che Roma guardi un po’ i nostri drammi. Abbiamo vissuto per anni a spese del Vajont e adesso (i soldi, ndr) sono finiti».

LA STORIA E LA MEMORIA
Il marchio Ceramica Dolomite infatti è stato creato a metà degli anni sessanta grazie ai fondi statali stanziati dopo la tragedia del Vajont per sostenere l’economia del bellunese. Quel periodo d’oro è finito. Massimiliano Paglini, segretario generale della Cisl Belluno Treviso, la definisce «un’azione speculativa della proprietà di Ideal Standard che negli ultimi 15 anni in Italia ha portato alla chiusura delle fabbriche di Gozzano, Brescia, Orcenico e Roccasecca e che oggi vuole cancellare il sito di Trichiana». Per il sindacato è inaccettabile: «I dati forniti dalla proprietà, che tendono a giustificare le scelte di abbandono, non sono veritieri. Se la volontà è orientata verso la cessione del sito produttivo e del marchio sono necessari interventi legislativi e azioni politico-strategico a tutti i livelli che favoriscano la difesa e il rilancio dello stabilimento».

I PENSIONATI
Al sito di Trichiana è collegata un’intera comunità. Basta passeggiare per le vie del paese e parlare con i residenti per capirlo. Tutti, o quasi, hanno un parente o un amico che lavora all’Ideal Standard. E poi ci sono Sergio e Giuliano che hanno lavorato in azienda per quasi 40 anni e ora si stanno godendo la pensione. Hanno cominciato negli anni ’70 quando i dipendenti erano 1200 e venivano prodotti circa 1 milione e 200mila pezzi all’anno. Le commesse arrivavano da tutto il mondo. Sergio ricorda che all’epoca c’erano ordini anche dall’Arabia Saudita. Pezzi neri con la riga d’oro: «Gli sceicchi li volevano così». Altri tempi, in tutti i sensi. La Birra Moretti pagava addirittura una persona per vendere la bevanda all’interno dell’azienda di Trichiana. Ebbe così successo che alla fine, per motivi intuibili, lo stabilimento fu costretto a vietarla. «Lavoravamo tutti volentieri – racconta Sergio – il clima era diverso perché eri tenuto in considerazione. Se sapevi fare andavi avanti».

ARAS MALAPELLE FRATTINI
L’azienda continuava ad allargarsi e con la produzione ai massimi livelli il denaro non mancava. Tanto che «quando arrivava la responsabile Aras Malapelle Frattini da Varese, se Attilio Bandiera (fondatore e primo direttore generale dell’azienda) diceva “Mi servono questi soldi” lei firmava perché sapeva che a distanza di poco tempo sarebbero quadruplicati». Ceramica Dolomite era un treno in corsa, almeno fino all’arrivo delle multinazionali. «Col marchio Standard – continua Sergio – hanno venduto tutti i pezzi rimasti di Pordenone e Udine. Non gli importava se uscivano dritti o storti. In quegli anni, se l’idraulico vedeva il marchio diceva di arrangiarti, tanto erano fatti male». Uno dei fiori all’occhiello della provincia stava cominciando a vacillare. «Per noi che siamo ormai fuori – evidenzia Giuliano – è un dispiacere. Ai nostri tempi i capi avevano la terza media ma erano capaci di risolvere qualsiasi tipo di problema. Ora è tutto uno scarica barile». Entrambi sono in pensione ma hanno zii, cugini e amici che ancora lavorano nell’Ideal Standard e spiegano che la crisi era nell’aria: «Quando lavori dentro e vedi che le cose non funzionano, a partire dall’organizzazione, lo capisci. La speranza è che tengano aperto, ovviamente, ma secondo me chiuderà».
 

Ultimo aggiornamento: 08:38 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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