Abusi in casa di riposo: confermata la condanna a 2 anni per atti persecutori e violenza sessuale

Mercoledì 10 Novembre 2021 di Davide Piol
Anziani (foto di repertorio)

SEDICO - Nessuno sconto di pena per Nildo Sossai. La Corte d'Appello di Venezia ha confermato in toto la condanna di primo grado, pari a due anni di reclusione, pronunciata dal tribunale di Belluno ormai un anno fa. Il 69enne, residente a Sedico, era imputato di atti persecutori e violenza sessual​e (si tratta di palpeggiamenti) nei confronti di una dipendente della casa di riposo di Sedico. Lui è difeso dall'avvocato Giorgio Gasperin che ha già preannunciato di voler presentare il ricorso in Cassazione, mentre la donna si era costituita parte civile con l'avvocato Cristiana Riccitiello. 

LE ACCUSE

Il periodo contestato dalla Procura della Repubblica di Belluno è di quattro anni.

In quell'arco temporale la donna sarebbe stata vittima delle attenzioni particolari del manutentore Sossai, consistiti in appostamenti e palpeggiamenti. I due si sarebbero conosciuti nella casa di riposo di Sedico in cui entrambi lavoravano, lui come magazziniere (anche se non era dipendente della struttura), lei come addetta alle pulizie. Secondo la pubblica accusa l'avrebbe minacciata, pedinata e molestata per quattro anni, dal 2014 al 2018, sia sul posto di lavoro che fuori dalla sua abitazione. Gli approcci e le proposte sessuali sarebbero state continue tanto da generare nella donna una tachicardia e una prostrazione psicologica che erano state certificate dalla Cardiologia di Belluno. L'uomo si nascondeva nei corridoi della casa di riposo e sbucava fuori all'improvviso sorprendendola alle spalle. Poi la obbligava a subire atti sessuali contro la sua volontà, toccandola ovunque. Sossai era stato impiegato nella struttura nell'ambito di un progetto regionale di lavori socialmente utili. Era lì per conto della società Via. «Non è cattivo, ma è un farfallone con le donne»: in questo modo cercava di rassicurare la donna, chi lo conosceva, ma lei ne era terrorizzata. Dal momento in cui si era trovata quel collega vicino aveva smesso di vivere. Secondo quanto ricostruito nel corso delle indagini, e confermato dalla vittima in aula, l'uomo non si sarebbe dato per vinto nemmeno quando lei, ripetutamente aveva declinato le sue avances non gradite, dicendogli chiaro e tondo di starle lontano. Avrebbe quindi continuato con appostamenti, molestie ripetute, minacce, percosse per riuscire a toccarla, pedinamenti fino all'abitazione della donna. In un'occasione le avrebbe rubato un reggiseno appeso fuori casa ad asciugare insieme ai panni. «Se non trovi un tuo reggiseno te l'ho preso io» l'aveva avvertita qualche giorno prima. Davanti ai giudici, Sossai aveva respinto ogni accusa. «Io non ho mai avuto contatti fisici con quella donna aveva raccontato l'imputato - non l'ho mai strattonata o toccata nelle parti intime, come mi si accusa. Nessuno ha mai preso provvedimenti nei miei confronti, anzi sono stato io a chiedere provvedimenti per lei». Poi aveva aggiunto: «Quando mi vedeva, faceva un salto e si nascondeva, ma non le ho mai chiesto perché. Successivamente ho sentito cosa diceva in giro, che ero andato a casa sua di notte e le avevo spaccato un braccio: non è vero». 

LA SENTENZA

Il pubblico ministero nelle sue conclusioni aveva chiesto sei anni di reclusione ritenendo sufficiente per una condanna quanto emerso in dibattimento. Un parere condiviso dalla parte civile che aveva chiesto un risarcimento di 15mila euro. Mentre l'avvocato dell'imputato, Giorgio Gasperin, aveva confutato le accuse e chiesto la nomina di un consulente. Dopo vari rinvii a causa dell'emergenza covid il giudice aveva pronunciato la sentenza: 2 anni di reclusione, confermati in questi giorni anche dalla Corte d'Appello. 
 

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