Scetticismo giustificato su Milei: ma chiediamoci perché in Argentina anche moderati e progressisti lo hanno votato

Domenica 17 Dicembre 2023

Caro direttore,

mi riferisco all'articolo a firma del prof. Prodi "L'Argentina e i nodi che "il matto" ora deve sciogliere". Al riguardo nell'articolo traspare un non celato scetticismo riguardo all'originalità dei comportamenti e dei programmi del neo eletto presidente Javier Milei, opposti a quelli sin qui seguiti dalle precedenti amministrazioni tali da far attribuire al neo leader il soprannome "El loco", soprannome verso il quale traspare una certa condivisione. Nel prosieguo, peraltro, fa anche menzione della situazione ereditata dai precedenti governi. Peraltro nessun commento esplicito nei confronti dei governi precedenti in ordine ai risultati conseguiti da egli chiaramente sopra esposti; come mai? Da quanto pubblicato come dovrebbero essere definiti i governi precedenti? Irresponsabili, incapaci, corrotti, ecc. ecc.? come mai la capacità critica del prof Prodi è rivolta quasi esclusivamente al futuro e non al passato, ricordato ormai come situazione consolidata, senza nominare i responsabili? A me viene a mente la situazione italiana dove si richiamano in continuazione le colpe di "questo governo" (che indubbiamente ci sono!) ma dimenticando che la situazione odierna è eredità anche, e soprattutto, dei governi passati.


G.B.
Mogliano Veneto


Caro lettore,
Romano Prodi che non ha certo bisogno di me come avvocato difensore delle sue tesi, ha fotografato la situazione argentina con l'inevitabile scetticismo con cui anche molti altri osservatori hanno commentato la vittoria del presidente Milei.

Del resto porsi qualche interrogativo di fronte a proposte quantomeno eccentriche come la "dollarizzazione" dell'economia o la chiusura della banca centrale o non così facilmente praticabili come l'immediata privatizzazione di gran parte delle aziende pubbliche è quasi d'obbligo. Ma ha ragione anche lei: la vittoria di Milei non si spiegherebbe senza considerare i disastri di decenni di peronismo, che ha ridotto sul lastrico l'Argentina, spinto l'inflazione a livelli stratosferici e costringe oggi a vivere due argentini su cinque sotto la soglia della povertà. Spesa pubblica senza freni, valanghe di capitali all'estero, assistenzialismo selvaggio e clientelismo sfrenato imbevuti di retorica nazionalista e popolare hanno contraddistinto gli ultimi vent'anni di peronismo matrimoniale della famiglia Kirchner e dei suo molti sponsor, forze sindacali comprese. Una reazione a questo incancrenito sistema di potere era inevitabile. E Milei, economista imprevedibile che agitava la motosega nelle piazze contro la casta e che usa (o almeno usava durante la campagna elettorale) un linguaggio brutale e irriverente, ha saputo darle uno sbocco politico. Governare per lui non sarà affatto facile. Non solo per i complessi equilibri politici interni ma per le difficilissime condizioni economiche del paese e perché dovrà fare i conti con i peronisti: pessimi a governare ma abilissimi a non far governare gli altri. Ma coloro che oggi si scandalizzano di fronte agli slogan di Milei, al suo iperliberismo, alla rozzezza di alcune sue analisi o a certe sue ambiguità rispetto alla giunta militare dovrebbero chiedersi perché, nonostante questo, nonostante l'ostilità della chiesa borbogliano e dei poteri forti argentini, ha stravinto le elezioni, convincendo molti moderati e progressisti a votare per lui. Le grandi svolte politiche e le rivoluzioni, in Argentina come altrove, non succedono mai per caso.

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