Cosa insegna il voto in Spagna? C'è chi preferisce un sistema elettorale che mette a rischio la governabilità

Giovedì 27 Luglio 2023

Caro direttore,
ho letto e sentito parecchi commenti sulle recenti elezioni spagnole e il loro esito incerto. Tuttavia mi sembra che nessun commentatore si sia spinto sino a chiarire quale sia il punto chiave "dell'empasse iberica". Il mai sufficientemente compianto professor Sartori diceva che non si "fa politica per la legge elettorale ma con (una buona) la legge elettorale". Le norme elettorali spagnole, proporzionale con una sbarramento bassisimo, spesso impediscono a chi arriva primo alle elezioni di avere in Parlamento un numero sufficiente di seggi per governare costringendolo a estenuanti accordi post-elettorali o, addirittura, a finire all'opposizione surclassato dalle altre forze coalizzate: una soluzione legalmente corretta ma democraticamente discutibile. Questo perché si tratta di una legge pensata per una società omogenea tendenzialmente bipartitica che, almeno in Occidente, non esiste più. Per rispettare la volontà popolare serve una soluzione elettorale maggioritaria come quella che vige nei Paesi anglosassoni o, con le dovute proporzioni, nei regolamenti elettorali delle nostre Regioni e dei nostri Comuni. Singolare che, ancor oggi, vi siano forze politiche che insistano nel proporre pervicacemente una soluzione integralmente proporzionale anche per le elezioni politiche italiane. Che siano veramente convinte che sia il sistema elettorale più democratico o semplicemente immaginano di non riuscire ad arrivare primi alle prossime elezioni generali?


Lorenzo Martini
Stanghella (Padova)


Caro lettore,
condivido la sua analisi.

Invece che misurare i punti percentuali persi o aumentati dei partiti cugini spagnoli o cercare labili parallelismi con la situazione italiana, sarebbe opportuno riflettere sulle ragioni prime e più profonde della difficile governabilità spagnola. Che hanno certamente origini nell'eterogeneità di un paese che riunisce territori e culture molto diverse tra di loro ma anche in un sistema elettorale fortemente proporzionale. Ora ci sono correnti di pensiero, forti anche in Italia, che ritengono questa modalità più adeguata a rappresentare democrazie complesse come le nostre dove, soprattutto dopo la fine delle ideologie, coesiste una pluralità di interessi difficilmente comprimibili in un sistema seccamente bipolare. Tuttavia, come sottolinea giustamente lei, il nostro Paese nei Comuni e nelle Regioni ha sperimentato con efficacia da anni sistemi elettorali che da un lato riescono a garantire rappresentanza e governabilità come dimostra la grande stabilità della gran parte delle amministrazioni locali italiane. Non è chiaro perché secondo qualcuno applicare anche a livello nazionale questo tipo di sistema elettorale, con l'introduzione del premierato o di un presidenzialismo corretto, sia da considerarsi un attentato alla democrazia o l'anticamera di svolte autoritarie. Evidentemente questo qualcuno preferisce sistemi in cui la precarietà dei governi sia una costate e consenta, anche a chi ha perso le elezioni, di non rinunciare a qualche rivincita o al ritorno nella stanza dei bottoni, magari attraverso un governo cosiddetto tecnico.

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