Negli ultimi anni si è posta sempre maggiore attenzione alla medicina di genere. La specifica donna e uomo. In cardiologia, in particolare, le differenze tra sessi sono state evidenziate da numerosi studi. In un recente numero della rivista americana Circulation, JJ Coughlan e i suoi collaboratori del Dehutsches Herzzentrum dell’Università di Monaco (Germania) hanno pubblicato un interessante articolo sulle differenze, anche nel risultato dell’angioplastica coronarica, tra maschi e femmine.
*Professore di Cardiologia
Università Cattolica di Roma
IL CAMPIONE
Sono stati presi in considerazione 9.700 pazienti (di cui quasi 2.300 donne) a cui era stato fatto un intervento di angioplastica (disostruzione dell’arteria con gonfiaggio di palloncino e successivo impianto di stent) per la chiusura parziale o totale di una delle arterie che portano sangue al cuore.
IL PERICOLO
A 10 anni dall’esecuzione dell’intervento la mortalità è stata del 18,5% nelle donne e del 14,3% negli uomini, anche se tale differenza si riduceva notevolmente considerando l’età più tarda in cui si faceva l’angioplastica nelle donne. Esse avevano comunque un aumentato rischio d’infarto nel primo mese post angioplastica e venivano meno sottoposte a nuovi interventi rispetto ai maschi. Tale differenza discriminatoria è peraltro presente non solo per l’angioplastica, ma in numerose pratiche terapeutiche o interventistiche della cardiopatia ischemica. Il registro Get with the Guidelines-Coronary Artery Disease, che ha analizzato i dati di oltre 31.500 pazienti con infarto miocardico per l’American Heart Association, ha infatti evidenziato che la qualità delle terapie impiegate nelle donne, sia giovani che anziane, era inferiore a quella usata negli uomini a parità di età e gravità di malattia. E inoltre nelle sindromi coronariche acute l’intervallo tra dolore toracico e inizio di terapia era più lungo nella donna (e quindi maggiore era il danno per cuore). Difficile stabilire se tale ritardo fosse dovuto alla minore attenzione data alle donne, oppure alla diagnosi più difficile nel sesso femminile (l’interpretazione di alcuni esami quali l’elettrocardiogramma o il test da sforzo è meno affidabile nelle donne) o magari più probabilmente al fatto che le donne si presentano in ospedale più tardi. Vi è infatti da considerare che nelle donne vi sono numerosi fattori che causano il ritardo.
LA PROGNOSI
Il dolore è più spesso sottovalutato perché si confonde con dolori articolari, mammari o gastrici. Le mamme hanno inoltre più attenzioni per la famiglia che per sé. Sta di fatto che la scarsa consapevolezza del rischio (sia da parte delle donne che degli operatori sanitari) è un grosso contributo alla prognosi peggiore nel sesso femminile. E le donne, contrariamente a quanto si pensa, hanno una mortalità percentualmente superiore a quella degli uomini. Una maggiore conoscenza da parte di noi cardiologi della patologia cardiaca femminile ed una maggiore attenzione alla prevenzione da parte delle donne, è quanto mai doverosa.
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