Coronavirus, Galli (infettivologo): «Stretta sui divieti o l'epidemia continuerà a correre»

Venerdì 13 Marzo 2020 di Claudia Guasco
Coronavirus, Galli (infettivologo): «Stretta sui divieti o l'epidemia continuerà a correre»

Sono due le armi principali per sconfiggere il Covid-19. «Il distanziamento sociale. E va bene, questo l'abbiamo fatto. Ma se non tracciamo i contatti, quando mai fermiamo l'epidemia?». Il professor Massimo Galli, primario infettivologo del Sacco di Milano, ragiona da scienziato e affronta il virus con pragmatismo: il picco del contagio dipenderà dall'efficacia delle misure di contenimento, afferma, e «la politica del tampone solo a pazienti sintomatici potrebbe rivelarsi insufficiente».

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Intanto però sono state varare disposizioni più stringenti in materia di mobilità e di stop alle attività. Le ritiene sufficienti, professore?
«Credo si debba specificare meglio ciò che si è iniziato a fare, c'è un po' di confusione nelle indicazioni e sarebbe necessaria maggiore chiarezza a livello di articolazioni locali: quali vengono ritenute attività indispensabili tali da giustificare gli spostamenti? Inviterei chi di dovere a precisarlo alla svelta, in questo momento abbiamo bisogno di chiarezza e di unità. Le indicazioni generali vanno bene. La chiusura dei negozi, di bar e ristoranti è decisamente importante, ma la definizione delle attività che possono essere continuate va subito specificata».

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C'è qualcosa che, a suo avviso, non è stato ancora fatto ed è urgente?
«Due, in particolare, sono gli ambiti che dovrebbero essere implementati. Il fronte degli ospedali, che è sotto pressione rischia di sprofondare in una grave crisi. L'altro, fondamentale, riguarda la battaglia del virus sul territorio: dobbiamo contenere davvero l'epidemia, non possiamo pensare che gli ospedali possano farsi carico dei malati che arrivano. Questo aspetto va valutato con attenzione e bisogna agire con incisività».

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Tracciando il maggior numero di contatti possibile.
«Uno studio, pubblicato il 28 febbraio sulla rivista The Lancet, rileva che considerando un tasso netto di riproduzione del 2.5, l'isolamento dell'80% delle persone che sono entrate in contatto con un paziente affetto da coronavirus permetterebbe di controllare il 90% dei focolai. Un altro parametro fondamentale è il tempo che intercorre tra insorgenza dei sintomi e isolamento: pur con l'isolamento dell'80% dei contatti, in questo modello matematico la probabilità di controllare il focolaio scende dall'89% al 31% se la quarantena avviene in ritardo, cioè circa otto giorni dopo i primi sintomi. Non solo. Il tasso netto di riproduzione del virus è tra 2 e 3 e secondo il modello sarebbe necessario rintracciare più del 70% dei contatti dei pazienti per controllare il focolaio».

Lo stiamo facendo?
«Non abbastanza e la cartina di tornasole è il numero dei morti: 6,6%, più alto rispetto all'attuale 4,5% di Huan. Bisogna risalire a tutti coloro che sono stati in contatto con le persone malate, metterli in quarantena, seguire la comparsa o meno dei sintomi dell'infezione. L'impressione è che vere indagini epidemiologiche su tutti i contatti reali dei malati non vengano fatte. Certo non è facile, sia chiaro, la mia non è una critica. Non punto il dito contro nessuno, dico solo che per fare ciò è importante mobilitare di più la medicina territoriale, il ruolo dei medici di famiglia, sviluppare programmi di telemedicina dedicati ai pazienti in isolamento a casa. Il distanziamento sociale è fondamentale, ma il tracciamento è importante per uscirne prima».

Gli ultimi dati mostrano un ulteriore aumento di malati e decessi. Siamo ancora lontani dal picco?
«I numeri prevedibilmente in progresso sono l'espressione di un'espansione dell'epidemia in termini di contagi già avvenuta. Poiché vengono forniti solo i dati dei pazienti sintomatici, e non sappiamo quanti asintomatici siano ancora in giro, considerato il trend di crescita al picco non siamo ancora arrivati».
 

Ultimo aggiornamento: 12:30 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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