Giorgia Meloni, un anno di governo della prima donna premier «underdog» tra emergenze e riforme

Domenica 24 Settembre 2023 di Francesco Bechis
Giorgia Meloni, un anno di governo della prima donna premier «underdog» tra emergenze e riforme

Un anno al governo. Tempo di bilanci per Giorgia Meloni. Si guarda indietro la prima donna premier "underdog" entrata a Palazzo Chigi dopo una lunga gavetta politica.

La militanza, gli anni con Berlusconi, la navigata in solitaria con Fratelli d'Italia, la lunga traversata all'opposizione, i consensi a cifra singola e infine il trionfo alle urne del 25 settembre 2022: sei milioni di voti in più e le chiavi in mano per entrare nella stanza dei bottoni. 

 

Il bilancio

«Il bilancio lo dovranno fare gli italiani», dice oggi Meloni tirando le fila dei primi dodici mesi.

Tra guizzi d'orgoglio per il lavoro fatto con il centrodestra, «l'Italia oggi è più credibile, più stabile, più ascoltata», i dati economici fra i venti di recessione europea, «ne vado fiera», qualche rimpianto, «sull'immigrazione i risultati non sono quelli sperati». Saranno gli italiani, dice Meloni e così è da sempre, del resto, a dare le pagelle al governo conservatore. Al primo, vero scrutinio mancano nove mesi: le elezioni europee di giugno 2024, con tutti i dovuti distinguo per un test che raramente replica fedelmente i trend nazionali, consegneranno un'istantanea sul consenso raccolto e difeso nel primo tornante della legislatura.

Intanto la premier riavvolge il nastro. In fondo non è presto per un primo tagliando, se è vero che nella sua giovane storia repubblicana l'Italia ha visto alternarsi già 68 governi. Durati in media 400 giorni: un anno e due mesi.

L'agenda delle riforme

Il secondo anno, ha promesso ieri Meloni, sarà «l'anno delle riforme». Il presidenzialismo ("premierato" nell'ultima versione allo studio) per mettere mano alla cronica instabilità dei governi italiani. L'autonomia differenziata chiesta  a gran voce dalla Lega e dalle Regioni, specie al Nord, che vogliono allentare il cordone con il governo centrale a Roma. E ancora, la Giustizia e la separazione delle carriere, la riforma fiscale già ai nastri di partenza, «la grande riforma del merito», ha aggiunto la premier al Tg1.

Nel primo anno a Palazzo Chigi invece il centrodestra è stato costretto a rivedere il vaste programme portato alle urne. Complice una congiuntura internazionale sfavorevole. A cominciare dalla crisi energetica e il caro bollette abbattuti contro la prima manovra targata Meloni, scritta con una corsa contro il tempo (il governo si è insediato a fine ottobre, in zona Cesarini per la finanziaria) e necessariamente sacrificata, almeno in parte, all'emergenza. E non è stata l'unica, di emergenza.

L'emergenza migranti

Il secondo riverbero della crisi internazionale (anche della guerra in Ucraina) si è visto sul fronte dell'immigrazione. Insieme all'inflazione e il caro-energia, il vero grande cruccio del primo anno di governo. Meloni ha dedicato buona parte dell'agenda a far fronte alla "sfida epocale" dei flussi dall'Africa e il Mediterraneo. Seguendo due direttive. Da un lato la stretta normativa. Dal decreto Cutro, il giro di vite contro i trafficanti di esseri umani annunciato a marzo all'indomani della tragedia sulle coste calabresi, ai tanti interventi succedutisi negli ultimi mesi, per ultimo con il nuovo piano per aumentare i Centri di permanenza e rimpatrio (Cpr) e velocizzare rimpatri ed espulsioni.

Dall'altro lato la diplomazia. A Bruxelles, ai tavoli europei dove Meloni, nei tanti Consigli europei cui ha preso parte, ha cercato ed anche riuscita a portare il dossier migratorio. Con alterni successi, dalla revisione del Patto di migrazione e di asilo ancora in corso alla lunga e faticosa trattativa con la Tunisia di Kais Saied, il Paese nordafricano sull'orlo della bancarotta in attesa di un corposo sostegno finanziario dalla Commissione Ue. Ma la strada diplomatica è la stessa che il governo intende percorrere lontano dai palazzi europei. All'insegna del "Piano Mattei", la roadmap di cooperazione economica ed energetica con i Paesi africani da cui partono e transitano i flussi migratori illegali, su "un piano paritario". Sarà inaugurato tra ottobre e novembre, con una conferenza intergovernativa a Roma. Il tempo dirà.

Il fattore B(erlusconi)

I sondaggi all'apparenza raccontano uno stallo: i tre azionisti della maggioranza, Lega, Forza Italia e Fratelli d'Italia, raccolgono oggi un consenso molto simile nell'opinione pubblica a quello incassato alle urne un anno fa. Eppure la convivenza fra alleati a Palazzo Chigi è stata tutto fuorché stazionaria. Lo stesso vale per i rapporti interni. La morte di Silvio Berlusconi, lo scorso giugno, è stata la prima grande cesura del percorso politico del governo. Fin dalle prime settimane il rapporto tra la premier e il fondatore di Forza Italia ha vissuto momenti di quiete e di burrasca, dalla scelta dei ministri alle tante partite sul tavolo della maggioranza (Giustizia, fisco, nomine).

Berlusconi ha altresì garantito il sostegno di FI in tanti tornanti delicati del governo e al contempo assicurato la tenuta del partito azzurro. Una garanzia che è particolarmente cara a Meloni, specie in vista delle elezioni europee, e che ora spetterà ad Antonio Tajani, vicepremier e nuovo leader di FI, assicurare. Con la Lega e Matteo Salvini la competizione sulla strada per il voto Ue è inevitabile. Del resto è la stessa Meloni a trovare "perfino giusto", in un'elezione proporzionale, e dunque ognuno per sé, distinguersi e fare scelte diverse, all'occorrenza. A patto che l'intesa della maggioranza, e un accordo di non belligeranza elettorale chiesto dalla premier ai suoi quest'estate, non vengano meno. 

Ultimo aggiornamento: 26 Settembre, 09:56 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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