Progetti falliti e ambizioni da kingmaker frustrate: i tanti flop nella partita del Colle. Le forze politiche, senza una guida salda, escono dalla contesa più divise e fragili.
Letta. Il Pd frammentato lo ha costretto al gioco di rimessa
Un partito troppo diviso per condurlo con sguardo sicuro e con mano ferma verso una soluzione.
Salvini. Bruciati i suoi nomi, la svolta moderata un’occasione persa
Ha voluto strafare, non riuscendo a fare. Si è auto-investito della funzione di king maker ma con il risultato di bruciare una decina di candidati possibili o impossibili - dalla rosa Moratti-Nordio-Pera al disastro sulla Casellati fino alla flop sulla Belloni - e di doversi arrendere alla fine alla soluzione che prima e durante le trattative aveva scartato. Ha messo il cappello su Mattarella il capo leghista quando gli si sono squagliati tra le mani tutti i piani, molteplici e confusi, frutto di improvvisazione - è più un leader da palco che da realtà, per dirla alla Ligabue - da politico poco avvezzo alle trame di Palazzo che sono più complicate da gestire e da far valere rispetto ai post sui social. È vero, Salvini non è incorso, come i suoi paventavano e gli avversari speravano, in un suicidio politico da Papeete bis. Però, valga come esempio la vicenda Casini. A cui Matteo s’è opposto nonostante il via libera di Berlusconi, il sostegno dei moderati non solo di centrodestra ma anche di centrosinistra compreso un pezzo di Pd e svariati grillini zona Di Maio, e perfino Speranza di Leu e Letta pur senza fare eccessivi salti di gioia parevano spostati sulla linea Pier. Se dopo aver bruciato tante opzioni divisive e autoreferenziali Salvini avesse capito di poter guidare questa, sarebbe potuto diventare non solo quel king maker che non è riuscito ad essere ma un leader con un profilo nuovo, più moderato e più spendibile in un contesto non solo ristretto all’area della destra sovranista. Guarda caso, Giorgetti s’è defilato dalla partita Colle giocata da Salvini.
Meloni. Mosse azzeccate ma pochi risultati
Sola, dura, pura. Non mattarelliana. Si è data questo profilo Giorgia Meloni. Ha messo a segno un bel colpo con il lancio di Crosetto, a dimostrazione che la destra può avere (ma una sola non basta) personalità capaci di allargare lo spettro dei consensi e ha tenuto un profilo basso che rispetto allo scintillare inconcludente del suo alleato-rivale Salvini l’ha contraddistinta come una leader avveduta. Ma i risultati? Meloni poteva ottenere di più se fosse stata - ma 64 grandi elettori non sono tanti - ancora più politica nelle sue manovre. Ovvero ha mancato l’obiettivo, che sarebbe stato di portata storica, di far salire sulla poltrona più alta dello Stato per la prima volta una figura di destra. Incassa comunque un risultato non irrilevante: la difficoltà di trovare un presidente in Parlamento rilancia il tema del presidenzialismo che è un suo cavallo di battaglia.
Conte. In crisi il generale che non ha truppe
Un disastro. Leader senza truppe. Sempre in sofferenza per la presenza alternativa di Di Maio. Quando “Giuseppi” ha lanciato la Belloni, Luigi – che della Belloni ha stima infinita – ha definito «indecorosa» l’idea di bruciarla sull’altare dell’improvvisazione. Si è svolto una specie di congresso in questa settimana in M5S e tra i due leader Di Maio s’è rivelato più avveduto e più capace di diventare l’interlocutore degli altri partiti. Da dove partivano due telefonate: la prima a Conte perché così si fa e la seconda a Di Maio per capire dove si poteva andare. Conte ha un problemone ora che la questione Quirinale si è risolta: ovvero dopo aver osteggiato in ogni modo la candidatura Draghi come farà l’ex premier rappresentante del più numeroso partito della maggioranza a rapportarsi con il capo del governo?
Berlusconi. Il Cavaliere torna al centro della scena
Auto-candidatura, scouting e operazione scoiattolo, telefonate di Sgarbi, viavai da Villa Grande, il San Raffaele. E tutto il resto: da quasi due mesi, e prematuramente, il Cavaliere si è piazzato al centro della scena, occupandola con il suo ultimo sogno da leader politico: diventare Capo dello Stato. E’ andata come è andata: con la grande rinuncia di cui non è ancora convinto. Ma ha tenuto in scacco Salvini e gli altri leader della coalizione, li ha inchiodati sul suo nome e intanto faceva crescere la sua centralità e anche i dati dei sondaggi per Forza Italia. Mai sottovalutare il Cavaliere. Una volta uscito dal campo si è tenuto aperto tutte le strade per partecipare al match. Diverse telefonate amichevoli con Draghi, disponibilità per Casini e poi Mattarella: Sergio, sei il Presidente del Presidente!
Renzi. La scelta del 2015 si conferma riuscita
Il king maker dell’altra volta - il Mattarella 1 nel 2015 fu frutto della sua abilità - può rivendicare la sua paternità sulla scelta originaria che era stata talmente azzeccata da costringere ora gli altri a riconoscerla mandando il presidente uscente al bis. Ha tenuto la barra ferma Renzi. Non ha ceduto alle sirene della destra e dell’altro Matteo che lo volevano coinvolgere nell’operazione Casellati. Si è piazzato al centro che è lo spazio del suo futuro. Ha provato con Casini ma senza forzare troppo. Ha ricucito con Letta senza sgambettarlo mai e ridiventando un interlocutore del Pd. Con Toti e i centristi ha fatto prove di coesistenza, e in prospettiva col proporzionale può riprendersi una scena non più da leader solitario.