dalla nostra inviata
«Più passa il tempo, meno probabilità ci sono di ritrovarla».
Che idea si è fatto finora di questa inchiesta?
«Sono stato nominato dalla famiglia di Kata soltanto sabato. Posso fare mere supposizioni sulla base di quello che ho appreso. Voglio chiedere un incontro con gli investigatori e con i magistrati della Procura. Spero da domani (oggi, ndr) in poi, non appena i miei ex colleghi avranno finito la loro ispezione, di poter eseguire un sopralluogo all’interno dell’ex hotel Astor. Considerato che era un porto di mare, si poteva entrare e uscire senza essere ripresi dalle telecamere».
I carabinieri nelle ultime ore ne hanno trovata una nuova. Crede servirà a capire se Kata è uscita dalla struttura?
«Uno pensa che sia finita e in un attimo si ha la possibilità di scoprire altri elementi, dai quali si aprono nuovi scenari. Occorre scandagliare bene il territorio. Stanno facendo un ottimo lavoro. L’Arma sul piano investigativo è un’eccellenza. Visto che è stato scandagliato ogni centimetro quadrato dello stabile, mi sembra chiaro che la bambina sia stata sequestrata e portata fuori di lì».
Cosa pensa della pista della vendetta tra comunità peruviana ed ecuadoregna per il racket delle stanze?
«Dopo lo sgombero dell’immobile, non c’erano più interessi in gioco in questo senso. Quindi, perché i sequestratori non si sono fatti vivi e non hanno restituito Kata ai suoi genitori? L’ipotesi del ricatto a questo punto sembra venir meno. Ci sono altre motivazioni dietro il suo rapimento, slegate dalla gestione degli affitti dell’ex hotel Astor».
Pensa a un pedofilo o un gruppo criminale che traffica organi?
«Resta tutto quello che ruota attorno al sequestro dei bambini. La cosa che mi sembra chiara, però, è che si sia trattato di un’azione premeditata. Chi ha sequestrato Kata sapeva di poter contare sulla facilità con cui si entrava e usciva da quell’immobile, passando inosservati. Lo studio delle immagini porta via tempo. Per esempio, dalle riprese acquisite finora si vede sull’uscio dell’ingresso, vicino alla bambina, una persona che fa capolino, tentennante. Vanno identificate le persone e raccolte le dichiarazioni sia degli adulti che dei bambini. Solo dopo si possono individuare le piste».
Gli inquirenti, però, stanno riscontrando molta reticenza da parte degli altri occupanti, e questo complica il quadro delle testimonianze.
«Gli investigatori sanno come affrontare l’omertà, va messo in conto. È spesso un fattore comune a molte indagini».
Quale indagine le ricorda il rapimento di Kata?
«Ogni caso è diverso dall’altro. Non si possono fare delle analogie. Certo è che il trascorrere del tempo, senza che si trovi una traccia utile, non va nella direzione più serena di questa indagine. Non significa pensare al peggio, ma normalmente nei sequestri di persona è sinonimo di scenari più gravi».