Matteo Di Pietro, il papà Paolo e i guai con la giustizia: dal Quirinale alla Ferrari tra soldi e famiglia

La vita sul filo del dipendente del Quirinale accusato e poi prosciolto per i fondi spariti dalle casse della tenuta di Castelporziano del Presidente della Repubblica

Domenica 18 Giugno 2023 di Mario Landi
Matteo Di Pietro, il papà Paolo e i guai con la giustizia: dal Quirinale alla Ferrari tra soldi e famiglia

Dietro la morte del piccolo Manuel a Casal Palocco, si celano diverse storie. Alcune non c'entrano nulla, ma spiegano diverse dinamiche. Matteo Di Pietro, per esempio, lo youtuber che era al volante della Lamborghini al momento del tragico incidente, è cresciuto all’interno del Quirinale, in una casa denominata “Coventino” all’interno della splendida Tenuta Presidenziale di Castelporziano.

Il papà Paolo Di Pietro ebbe diritto a quell’alloggio quando divenne il vice dell’allora cassiere della stessa tenuta Gianni Gaetano, all’epoca di Carlo Azeglio Ciampi presidente della Repubblica e di Gaetano Gifuni segretario generale del Quirinale. Oggi il padre dello youtuber è al centro delle polemiche social dopo la diffusione di un video in cui partecipando a una delle challenge del figlio (che voleva realizzare 10 sogni di suoi amici e familiari) guida una Ferrari a Roma spingendo sull’acceleratore, ma rigorosamente senza cintura di sicurezza.

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Questa tragica passione per i motori e la velocità è evidentemente patrimonio di tutta la famiglia. Ma non è solo questa ultima tragedia ad avere portato quella famiglia nel ciclone della cronaca giudiziaria. Quando Matteo aveva poco più dell’età del bimbo ora morto nell’incidente di guida, la mattina del 30 ottobre 2009 i finanzieri all’alba bussarono a quella “casa Coventino” della tenuta presidenziale con in mano un mandato di perquisizione per rovistarla da cima a fondo. Papà Paolo era infatti indagato per una brutta storia a lungo tenuta segreta che riguardava una gestione assai allegra della cassa di Castelporziano. L’unica cosa che poi la magistratura avrebbe accertato con sicurezza è che nel giro di pochi anni in quella cassa c’era un ammanco di quasi 5 milioni di euro. Ogni anno dei 2,5 milioni di finanziamento del Quirinale per pagare i costi della tenuta ne sparivano almeno 500 mila euro. Un anno anche più di 800 mila euro. L’inchiesta fece tremare Roma, perché fra gli indagati e condannati in primo grado oltre al cassiere titolare e ad altri funzionari ci fu il potentissimo segretario generale del Quirinale Gifuni, che fu il braccio destro prima di Oscar Luigi Scalfaro e poi di Ciampi. Con lui stessa condanna al nipote acquisito Luigi Tripodi, che durante il segretariato di Gifuni fu nominato direttore dei giardini e delle tenute quirinalizie. Le condanne di primo grado furono pesanti, il cassiere ammise gli ammanchi e patteggiò la pena, poi nel corso degli anni sia Gifuni che il nipote e gli altri funzionari sarebbero usciti dagli altri gradi del processo in parte per intervenuta prescrizione dei reati di cui erano accusati, in parte per assoluzione da altri capi di accusa. Le accuse nei confronti di Paolo il papà dello youtuber furono invece archiviate già durante l’udienza preliminare su richiesta della stessa pubblica accusa, che chiese di procedere nei suoi confronti solo per omessa denuncia (ma il gip decise di non farlo). L’indagine però durò molti mesi e scosse la famiglia Di Pietro. Alla fine, però, provata la sua innocenza mantenne il posto al Quirinale e il diritto a risiedere a “casa Coventino”.

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Negli atti processuali - scrive La Repubblica - spuntò un bigliettino scritto dallo stesso papà dello youtuber al suo padre spirituale. Portava la data del 3 febbraio 2009 e rivendicava la sua innocenza anche se ammetteva di conoscere quella gestione allegra della cassa, ma di avere girato la testa dall’altra parte per paura di perdere il lavoro.

 

«La tranquillità e la pace della mia famiglia», scriveva Paolo Di Pietro, «è minata da una responsabilità che non ho e che non mi si accusa, ma probabilmente dipendente dal solo fatto che in questi anni non ho avuto il coraggio di denunciare gli altri ed il loro operato. Mi domando!! Ma una persona che dipende da altre persone e Capi, come può denunciare l’operato di un superiore quando lo stesso e poi anche più su nella lunga scala gerarchica sanno e non dicono, vedono e lasciano correre, approvano e distruggono la moralità dei giusti? Ho da rimproverarmi solo il fatto di avere scelto e preteso sempre di lavorare a Castelporziano (…) A questo punto semmai dovessero spostarmi di sede di lavoro, metterei a rischio l’intero equilibrio familiare… non mi spaventa il carico di lavoro ed il sacrificio del viaggio, ma certamente nella mia coscienza suonerebbe e riecheggerebbe come una grave punizione, Si vuole ledere la mia integrità morale, si vuole offendere la mia persona e mortificare pubblicamente la mia immagine per la sola responsabilità di avere lavorato in questo posto e con chi !!!».

Ultimo aggiornamento: 20 Giugno, 15:14 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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