Giallo di Arce/ Troppi depistaggi
dietro l'inchiesta
​sul delitto di Serena

Mercoledì 24 Ottobre 2018 di Aldo Simoni
Giallo di Arce/ Troppi depistaggi dietro l'inchiesta sul delitto di Serena
 Depistaggi, superficialità o incapacità?
Molti, ad Arce, già 17 anni fa, conoscevano le conclusioni alle quali la Procura ora è giunta, al termine delle indagini sul delitto di Serena Mollicone.
Dai tossicodipendenti del paese fino a papà Guglielmo Mollicone. Bastava fare due chiacchiere in piazza o al bar. Eppure sono stati spesi 17 lunghissimi anni di indagini, intercettazioni, test biologici, pedinamenti. Una spesa mostruosa per la Giustizia. In termini di tempo, di forze, ma anche di costi. Un apparato gigantesco che, alle sua spalle, ha lasciato una scia di sangue, turbamento e sconvolgimento senza precedenti. Da quella del brigadiere Santino Tuzi (suicidatosi) alle centinaia di persone (innocenti) tenute sotto scacco per anni.
CARABINIERI A CASA ALL’ALBA
«Diciamo che ho ritrovato, nella mia storia, molti aspetti comuni al caso Cucchi». A parlare è un alto dirigente della Asl. La sua testimonianza è un esempio, fra i tanti, di come si sono sviluppate le indagini.
«Diciassette anni fa - racconta - mi svegliarono alle 4 di mattina i carabinieri. Contemporaneamente, altre pattuglie erano andate a casa di mia madre, ottantenne, vedova di un generale dei carabinieri pluridecorato e della mia compagna. Avevano l’ordine di perquisire le tre abitazioni, ma mia madre offrì loro un caffè e si sedette con loro a chiacchierare. Lo stesso fecero a casa della mia compagna a da me. L’unica cosa che i carabinieri portarono via fu un libro di mia figlia, su “come si diventa drogati”. Ma, considerato il mio ruolo e gli studi di mia figlia (oggi psicoterapeuta) di libri simili, a casa, ne avevamo a decine. La cosa che più mi meravigliò fu il disagio e la costernazione degli stessi carabinieri. Come se sapessero che stavano perdendo tempo, ma “dovevano farlo”».
I TEST DEL DNA
Questo, dunque, all’indomani del delitto di Serena. Ma le indagini, negli anni, sono andate avanti, fino a quando, 6 anni fa, si decise (come nel delitto di Yara) di sottoporre all’esame del Dna tutte le persone che potevano essere venute a contatto con Serena.
Continua la testimonianza: «Lo stesso disagio mostrato dai carabinieri quando perquisirono casa mia, lo rilevai il giorno in cui io fui chiamato in caserma, a Frosinone, dove a me e alle 2 mie figlie fu prelevato il Dna. Serviva per la comparazione con alcune tracce rinvenute sul corpo di Serena, ma lo stesso carabiniere, imbarazzato, mi disse “Dottore, se vuole può rifiutarsi...” Non ci pensai due volte e mi sottoposi, come le mie figlie, al tampone orale. Anche questa volta il carabiniere sembrò scusarsi e mi disse: “Stiamo prelevando campioni su centinaia di persone...”»
I CONTROLLI NOTTURNI
«Ma la sorpresa più grossa - prosegue - la ebbi da un carabiniere, figlio di un ex autista di mio padre. Quando andò in pensione mi disse che voleva parlarmi. Ci incontrammo, e mi rivelò che ebbe ordine, dalla Digos, di controllare la mia casa, tutte le notti, per 15 giorni. Anche lui, con enorme disagio, mi fece questa confessione conoscendo benissimo sia la mia famiglia che mio padre».
LA VERITA’ NASCOSTA
«Eppure, ad Arce, in molti sapevano. A me - continua l’alto dirigente - 15 giorni dopo il delitto, alcuni tossicodipendenti, utenti dei servizi Asl di Frosinone, mi dissero cosa era successo. E loro sapevano perfettamente che Serena, il giorno della scomparsa, era salita in caserma. E vi era andata per denunciare l’uso smisurato che si faceva di droga in Paese».
LE VITTIME INNOCENTI
Dunque, tra le vittime “innocenti” di questo caso, oltre al carrozziere Carmine Belli (arrestato, processato e poi definitivamente scagionato) ci sono anche coloro che sono stati tenuti, per giorni, sotto pressione, con interrogatori, perquisizioni e pedinamenti. Uno, ad esempio, è caduto in uno stato di forte depressione tanto che ancora oggi è in cura.
IL TEOREMA
Ma perchè tanta attenzione sul dirigente Asl? Perchè i controlli notturni? Il prelievo del Dna?
«Il teorema era semplice - spiega - : io dirigente di alto livello della Asl, le mie figlie amiche (o conoscenti) di Serena e (magari ipotizzando anche qualche festino) il caso era chiuso. Ma in verità le mie due figlie, pur se coetanee della vittima, non hanno mai visto, né conosciuto Serena. Accadeva, invece, che quando facevano presto, la mattina, le accompagnavo io in macchina alla stazione di Arce per prendere il treno per Sora. Purtroppo gli investigatori cercavano una ragazza bionda, amica di Serena e credevano di averla individuata in una delle mie figlie (che però avevano entrambe i capelli scuri)».
Tutte coincidenze? Tentativi di depistaggio? O solo superficialità? L’ultima parola alla Procura che, a giorni, formulerà le sue conclusioni.
 
Ultimo aggiornamento: 25 Ottobre, 00:33 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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