Il biscotto è tornato nella dispensa:
questi sono i giorni del cucchiaio

Martedì 26 Giugno 2012 di Edoardo Pittalis
Andrea Pirlo calcia il rigore a cucchiaio contro l'Inghilterra (Ansa)
Dopo il biscotto, il cucchiaio. Uno ha agitato la vigilia della partita con l’Irlanda, l’altro quello del dopo Inghilterra. Non ci facciamo mancare niente quanto a cucina, siamo un popolo teledipendente dalle ricette; non c’ canale televisivo che a mezzogiorno e dintorni non dispensi piatti caldi e freddi con cuochi sulla cui abilità talvolta è lecito avere dubbi. Dall’estero importiamo format basta che parlino di cucina, c’è uno chef di talento che è diventato famosissimo insultando gli apprendisti. Naturalmente è stato subito copiato, ma Chef Ramsay è inimitabile. I libri di ricette sono i più venduti assieme a quelli delle diete. Prima di fanno mangiare, poi ci spiegano che dobbiamo dimagrire.



Così il Paese conosciuto per i consigli di Artusi e per le ricette del “Cucchiaio d’argento” che hanno addestrato generazioni ai fornelli, non ha trovato nessuna difficoltà a discutere di biscotti e di cucchiaio. Il primo stava a indicare un possibile accordo sporco per farci fuori nel girone eliminatorio, più che dolce era salatissimo. Giornalisti particolarmente ispirati hanno passato giornate a inseguire i tifosi: “Il biscotto dove lo mettiamo?” (Studio Aperto). La risposta del tifoso è irriferibile almeno quanto scontata. Poi la Spagna ha battuto la Croazia e l’Italia ha passato il turno e da allora non si è più parlato di biscotti. Perlomeno, sono tornati al loro impiego originario o sugli scaffali dei supermercati.



È, invece, il giorno del cucchiaio, termine che sta a indicare il modo in cui si calcia un rigore: cosa che può risolversi in maniera grottesca oppure in maniera straordinariamente spettacolare e irridente. Il primo a batterlo così è stato il centrocampista Panenka nel 1976, regalando l’Europeo alla Ceoslovacchia contro la Germania. Ha raccontato che se avesse sbagliato sarebbe finito ai lavori forzati. Forse era una battuta, ma erano tempi in cui oltrecortina poteva anche accadere. L’arcipelago Gulag non è una vecchia ricetta dell’Est europeo. A sublimare il cucchiaio è stato Francesco Totti con un rigore che nel 2000 agli Europei spalancò all’Italia la finale, facendo aumentare le palpitazioni di Zoff in panchina.



Ed ecco Pirlo contro gli inglesi, nel momento più delicato, subito dopo l’errore di Montolivo dal dischetto. Ci voleva coraggio e talento, Pirlo possiede entrambi e, soprattutto, lo ha fatto quando bisognava far capire che si poteva e doveva vincere. Oltre 21 milioni di italiani sono scattati davanti ai teleschermi e sono scesi nelle strade con tricolore, suoni di clacson, urla liberatorie. Sempre così quando l’Italia del calcio va avanti. Ancora di più quando questo accade in periodi in cui all’Italia le cose non vanno proprio bene.



Adesso si attende la Germania. E perché no? Si potrebbe anche pensare alla finale. L’Italia del pallone è fatta in questo modo: parte lenta, cresce alla distanza, soffre e fa soffrire. Poi si esalta. Contro l’Inghilterra ha sbagliato troppo, poteva farla finita presto con due o tre gol di vantaggio, ha dovuto attendere la lotteria dei rigori. Ma quando deve stringere, l’Italia c’è. Dai mondiali del 1934 agli Europei del 2012, la Nazionale colleziona semifinali: 11 volte in campo e contro i tedeschi due successi su due. Nove volte l’Italia è arrivata in finale in queste competizioni e per cinque volte ha trionfato. Anche contro i tedeschi.



Certo quella con la Germania è sempre una grande partita. Loro la vedono come una rivincita, hanno qualcosa da farci perdonare, calcisticamente. C’è quella storia del 1970 in Messico ai mondiali, con la partita definita la più bella della storia: il fantastico 4-3! C’è la più recente semifinale ai mondiali tedeschi del 2006. Insomma, non ci hanno mai battuto. È vero che questa Germania è la squadra migliore finora vista agli Europei, ma l’Italia non è inferiore e lo ha appena dimostrato. Come non è scontato l’esito dell’altra semifinale tra Spagna e Portogallo.



Ci voleva un cucchiaio per far riscoprire l’orgoglio azzurro. E magari si potrebbe pensare a inviare a Kiev per la semifinale Antonella Clerici con la sua squadra di cuochi. Peggio dei certi telecronisti Rai non può fare. Da quello che un paio di volte ha chiamato Prandelli col nome Mario; all’anagrafe è Claudio Cesare. All’altro che ha gridato preoccupato: “Abbiamo visto Prandelli toccarsi i flessori e guardare verso la panchina”. Il guaio muscolare ha interessato De Rossi e Abate, sono stati loro a guardare verso la panchina. E Prandelli era esattamente sulla panchina e da molti anni non scende in campo. Ventuno milioni di italiani disorientati. Li hanno dovuti raccogliere col cucchiaio.
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