Palestina membro Onu: c'è il primo via libera. Israele: «Vergogna». L'Italia si astiene

L’ambasciatore di Tel Aviv strappa la Carta delle Nazioni Unite: hanno premiato Hamas

Sabato 11 Maggio 2024 di Lorenzo Vita
Palestina membro Onu: c'è il primo via libera. Israele: «Vergogna». L'Italia si astiene

Un tritacarte acceso.

La Carta delle Nazioni Unite che viene distrutta di fronte all’Assemblea generale. Le parole di fuoco del rappresentante israeliano, Gilard Erdan, che accusa senza mezzi termini il Palazzo di vetro: «State facendo a pezzi la Carta delle Nazioni Unite con le vostre stesse mani. Sì, sì, è quello che state facendo. Vergognatevi». È in un clima così rovente che ieri si è consumato l’ennesimo strappo tra Israele e l’Onu. «Avete aperto le Nazioni Unite ai nazisti moderni. Questo giorno rimarrà ricordato nell’infamia», ha aggiunto, parlando di uno «stato terrorista palestinese che sarebbe guidato dall’Hitler dei nostri tempi». Immagini potenti, anche esagerate, secondo molti osservatori, con cui Erdan ha voluto inviare un segnale chiaro. Per il governo di Benjamin Netanyahu, la risoluzione con cui l’Assemblea generale ha deciso che la Palestina può diventare membro dell’Onu (e che raccomanda al Consiglio di sicurezza di «riconsiderare favorevolmente la questione») è un errore. 

«Un premio ad Hamas», ha tuonato il ministro degli Esteri Israel Katz, che si è scagliato anche contro il segretario generale Antonio Guterres, colpevole, a suo dire, di avere reso l’Onu «irrilevante». E anche se la risoluzione non riconosce formalmente uno Stato palestinese, per Netanyahu e il suo esecutivo si tratta comunque di un nuovo campanello d’allarme. L’approvazione con 143 voti a favore, nove contrari (uno su tutti, gli Stati Uniti) e 25 astenuti (tra cui l’Italia) conferma che gran parte degli Stati è favore di un processo su cui Bibi ha messo dei paletti molto stringenti. La missione americana, giustificando il suo no al voto, ha chiarito che l’Autorità Palestinese non soddisfa ancora i criteri per l’adesione all’Onu e che la risoluzione non risolve le preoccupazioni che erano state sollevate rispetto alla sua adesione. L’Autorità nazionale palestinese esulta. E il presidente, Abu Mazen, ieri ha detto che il voto Onu «incarna il diritto legittimo del popolo palestinese ad uno Stato indipendente, sovrano, con Gerusalemme est come capitale». Ma il messaggio per lo Stato ebraico è che il governo rischia di rimanere ancora più isolato. Specialmente adesso che la guerra nella Striscia di Gaza è entrata nel capitolo dell’attesa (e temuta) offensiva su Rafah.

 

SUL CAMPO
La pressione su Israele, sia mediatica che politica, si fa sempre più intensa. Ieri, attraverso le testimonianze di fonti israeliane che hanno scattato anche alcune foto, la Cnn ha svelato le pessime condizioni in cui sono tenuti prigionieri i detenuti palestinesi nella base di Sde Teiman, nel deserto del Negev. Gli uomini sono costretti a rimanere in silenzio, immobili, seduti con la schiena dritta, bendati e circondati dal filo spinato. Mentre i feriti sono legati ai loro materassi in un’altra ala del campo, vestiti solo con un pannolone e costretti a nutrirsi attraverso cannucce. Ma il campo di Sde Teiman non è nuovo a denunce e proteste anche da parte delle organizzazioni israeliane per i diritti umani. E quello che si nota dalle foto satellitari è un aumento delle tende nella base subito dopo il 7 ottobre. Segno che nella prigione del Negev sono arrivati molti più detenuti. 

IL DOSSIER USA
Il dramma dei detenuti di Sde Teiman si unisce all’attenzione della comunità internazionale e in particolare degli Stati Uniti sulla conduzione della guerra contro Hamas. Washington non sembra avere trovato prove schiaccianti che indichino che Israele ha violato gli accordi sull’uso delle armi importate. Ma il pressing di Joe Biden, dopo la decisione di fermare l’invio di alcuni tipi di bombe e missili, si è fatto più intenso. Netanyahu tira dritto. E lo ha certificato anche la decisione di ieri del gabinetto di guerra con cui sono state ampliate le operazioni militari a Rafah, ultima roccaforte dei battaglioni di Hamas. Per alcune fonti vicine al governo, l’allargamento dell’operazione sarà limitato. Ma intanto, i carri armati israeliani hanno circondato quasi completamente la parte orientale della città. 

LO SCENARIO
L’Idf è sicura che l’operazione possa andare avanti anche senza il carico di armi bloccato da Biden, come ha spiegato nei giorni scorsi il portavoce Daniel Hagari. Ma alcuni esperti hanno avvertito il governo dei rischi di questa frattura con Washington. Nel breve termine, ha spiegato Dan Sabbagh del Guardina, le Tsahal non avranno problemi, considerato il flusso di armi arrivato dopo il 7 ottobre. Ma alla lunga, questa spaccatura potrebbe innescare ulteriori stop. E come ha spiegato il Jerusalem Post, il timore riguarda anche altri fronti, in particolare quello con il Libano. Hezbollah potrebbe sfruttare l’occasione per intensificare i suoi attacchi. E mentre i jet israeliani colpiscono le postazioni sciite, l’esercito si esercita costantemente per un’escalation nel Paese dei cedri. 
 

Ultimo aggiornamento: 12 Maggio, 10:46 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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