Nella buca per 26 anni: è morto l'uomo più solo del mondo

Martedì 30 Agosto 2022 di Francesca Pierantozzi
Nella buca per 26 anni: è morto l'uomo più solo del mondo

PARIGI - L'Uomo, sì scritto con la lettera maiuscola, ha sentito la morte arrivare, e ha preparato tutto, ha riordinato gli utensili della sua tapiris, la capanna di cortecce e foglie di palma costruita nel cuore della foresta amazzonica, si è circondato di piume e poi si è disteso sull'amaca.

Lo hanno trovato così, già in stato di decomposizione. Il primo sguardo umano a posarsi su di lui dopo più di trent'anni, è stato quello di un agente della Funai, la fondazione degli indigeni brasiliani, che ha cercato di non perdere mai le sue tracce. L'Uomo non aveva un nome, o meglio: il suo nome non lo aveva mai detto a nessuno, perché non parlava con nessuno, è vissuto e morto solo. Il mondo lo conosceva, l'indio do Buraco o indio Tanaru, l'uomo più solo sulla terra, forse l'ultimo esule da qualsiasi consesso umano. Non aveva più voluto avere amici, famiglia, parenti, da quando l'ultimo membro della sua tribù nessuno sa quale fosse, anche quel nome si è estinto è stato sterminato. Allora, probabilmente un giorno del 1995, si è ritirato da tutti, inghiottito dalla foresta, nutrendo leggende e fantasie mistiche, mostrando solo rarissime volte in questi decenni la sua figura. L'ultima immagine, rubata da un teleobiettivo, lo ha colto nel 2018 mentre abbatte un albero, con un'ascia costruita da lui, capelli lunghi, una pelle di animale buttata sulle spalle.


ISOLATO
L'Uomo aveva caparbiamente, ostinatamente, senza mai cedere, rinunciato a qualsiasi contatto con i suoi simili. «Aveva conosciuto l'atrocità dei massacri e le invasioni: ha considerato che evitare qualsiasi contatto con gli altri esseri umani fosse la sua sola opportunità di sopravvivere», ha spiegato Sarah Shenker, una militante di Survival International, movimento globale a favore dei popoli tribali. «Era l'ultimo della sua tribù, che con lui si estingue ha precisato al Guardian e non diciamo che è scomparsa, si tratta più di un genocidio».
Secondo le organizzazioni indigene ormai sopravvivono non più di trecento tribù, e di queste circa una trentina vivono nel profondo della foresta, fuggendo il più possibile i contatti con la civiltà. Il presidente Bolsonaro non ha mai fatto mistero del suo disprezzo per le tribù autoctone. Sotto accusa ci sono soprattutto allevatori e speculatori che continuano a rosicchiare pezzi di Amazzonia. Negli anni '80 molti indio denunciavano stragi con veleno per topi, mascherato da dolci offerti in segno di pace dagli stranieri. Sarebbe stato proprio un avvelenamento di massa a distruggere la tribù dell'Uomo, nello stato della Rondonia, al confine con la Bolivia. Soltanto lui si salvò. In quei primi anni lo chiamavano l'uomo del buco perché scavava dei buchi nella terra, dove forse si nascondeva. Aveva resistito a qualsiasi tentativo di contatto umano, a chi cercava di avvicinarsi lanciava frecce, si proteggeva con trappole.
«Non aveva più fiducia in nessuno ha raccontato Marcelo dos Santos, un membro della Funai, che a lungo ha monitorato l'indio solitario, cercando, a distanza, di proteggerlo e verificare che stesse bene o non avesse bisogno di aiuto». Ma l'uomo di aiuti non ne ha mai voluti. Mai ha sfiorato i regali, le donazioni di cibo, utensili o abiti che venivano lasciati vicino ai suoi buchi. Una ventina di anni fa era stata creata una piccola riserva per garantirgli quella solitudine che cercava. Qualche giorno fa lo hanno trovato circondato dii piume colorate, probabilmente ricordo dei riti mortuari dei suoi. Secondo le prime informazioni, la morte sarebbe dovuta a cause naturali. Intorno a lui, nessun segno di violenza, al contrario: pace e ordine. Nel rifugio aveva sistemato un'altra amaca, per un compagno invisibile che non ha mai avuto. Aveva circa 60 anni.
 

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