​Bonus mamme, cosa cambia tra più Irpef e meno Assegno unico. Si può inserire tra i fringe benefit o no? Le simulazioni

Tra più Irpef e meno Assegno unico, di 80 euro di bonus mamma al mese si rischia di perderne circa 30. Arrivano poi i chiarimenti dell'Agenzia delle Entrate sull'inserimento del contributo nel piano di welfare aziendale

Domenica 3 Marzo 2024 di Giacomo Andreoli
Come funziona il nuovo bonus mamme lavoratrici, introdotto dall'ultima legge di Bilancio

Il bonus mamme rischia di essere meno corposo del previsto. A evidenziarlo è un’analisi Fisac Cgil. Il contributo non porterebbe a un corrispondente aumento della retribuzione netta, visto l'aumento dell'Irpef, e rischierebbe di far scendere l’importo dell’assegno unico. A trarre il maggiore beneficio ora sarebbero le lavoratrici con un reddito lordo tra i 3mila e i 4mila euro. L'Agenzia delle Entrate ha poi fornito i chiarimenti sul possibile inserimento del contributo nel welfare aziendale.

Vediamo quindi nel dettaglio tutte le novità.

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Cos'è il bonus mamme e quanto vale

La misura a favore delle donne madri che lavorano ha una soglia massima di 250 euro lordi al mese, ovvero tremila euro all’anno, corrispondenti a un aumento in busta paga pari nel complesso a circa 1.770 euro netti per le retribuzioni lorde che vanno da 27.500 euro in su. Nel 2024 le destinatarie dell’incentivo saranno, in via sperimentale, anche le madri con due o più figli, di cui almeno uno di età inferiore a 10 anni, mentre nel 2025 potranno accedere al bonus solo le mamme con tre o più figli, di cui almeno uno minorenne.

La misura si applica a tutte le lavoratrici con contratti a tempo indeterminato del pubblico e del privato, con l’esclusione del lavoro domestico. Non è necessario fare domanda: l’aiuto viene riconosciuto e attivato automaticamente dal datore di lavoro. Va tuttavia comunicato all’Inps il numero dei figli e il loro codice fiscale.

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La platea coinvolta

Quanto è ampia la platea delle aventi diritto? Dalla relazione tecnica emerge che le lavoratrici madri del settore privato con almeno tre figli, di cui uno sotto i 18 anni, sono circa 111 mila, mentre le addette con due figli, di cui uno sotto i 10 anni, sono poco più di 570 mila. A queste si aggiungono le madri beneficiarie che lavorano nella Pubblica amministrazione, parliamo di 150-200 mila statali. Totale, la misura quest’anno raggiungerà quasi 900 mila lavoratrici con figli piccoli.

Sono escluse le lavoratrici domestiche (colf, badanti) e le libere professioniste con la partita Iva, la collaborazione occasionale o con contratti di collaborazione continuativa. Sono infine escluse anche le lavoratrici madri che hanno un solo figlio a carico, anche se disabile.

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Che succede se cambia il contratto di lavoro?

«L’esonero per i periodi di paga dal 1° gennaio 2024 al 31 dicembre 2026 - ha chiarito l'Inps - trova applicazione, per le lavoratrici madri di tre o più figli, fino al compimento del diciottesimo anno di età del figlio più piccolo, e per i periodi di paga dal 1° gennaio 2024 al 31 dicembre 2024, anche per le lavoratrici madri di due figli, fino al compimento del decimo anno di età del figlio più piccolo». E poi. «Poiché l’esonero in questione trova applicazione esclusivamente con riferimento alla quota di contribuzione a carico della lavoratrice madre, la misura non rientra nella nozione di aiuto di Stato».

Inoltre, qualora un rapporto di lavoro a tempo determinato venga convertito a tempo indeterminato, l’esonero può trovare legittima applicazione a decorrere dal mese di trasformazione a tempo indeterminato, chiarisce la circolare. Facciamo due conti. Secondo la relazione annuale dell’Ispettorato nazionale del lavoro sulle dimissioni dei genitori entro i primi tre anni dalla nascita dei figli, sono più di 44 mila le mamme che nel 2022 hanno abbandonato il lavoro. Su un totale di 61.391 dimissioni, quelle convalidate dalle lavoratrici sono il 72,8% (44.669).

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L'effetto Irpef e il taglio dell'Assgno unico: le simulazioni

La diminuzione della trattenuta previdenziale determinata dal bonus può portare a far salire l’imponibile fiscale e quindi l’Irpef da pagare. All’aumentare del reddito lordo può aumentare anche l'Isee, usato per calcolare l'importo dell'Assegno unico e di altre agevolazioni. Secondo la Fisac Cgil una lavoratrice con figli che ha un reddito lordo mensile di 2mila euro, con un esonero contributivo di 64 euro, avrà un aumento della retribuzione netta di circa 49 euro. Dovrà infatti pagare circa 15 euro in più di Irpef. Discorso simile per chi ha 2.500 euro di reddito lordo mensile: i contributi in meno valgono 80 euro di contributi, ma la busta paga sale "solo" di 52 euro.

Quando poi il reddito lordo raggiunge i 3mila euro, lo sgravio contributivo raggiunge i 250 euro, ma la retribuzione netta aumenta di 163 euro. Si tratta di una cifra praticamente uguale a quella per chi ha un reddito lordo mensile di 4mila euro: lo sgravio è di 250 euro, ma la lavoratrice vede aumentare il proprio stipendio mensile solo di 162 euro. La cifra è più bassa per chi ha un reddito lordo mensile di 5mila euro: la busta paga sale di 142 euro, a fronte di 250 euro di sgravio.

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Si può inserire il bonus mamme tra i fringe benefit?

L'importo del bonus, come chiarito dall'Agenzia delle Entrate, rientra nel reddito imponibile. Non è quindi possibile considerarlo nel piano di welfare aziendale, e quindi tra i benefit esclusi dalla formazione del reddito di lavoro dipendente, quando viene concesso alle donne che rientrano dal congedo di maternità. L’Agenzia delle Entrate analizza i contenuti dell’articolo 51 del Tuir che definisce il concetto di reddito di lavoro dipendente. L’importo è costituito «da tutte le somme e i valori in genere, a qualunque titolo percepiti nel periodo d’imposta, anche sotto forma di erogazioni liberali, in relazione al rapporto di lavoro».

Ci sono, però, delle eccezioni: i benefit aziendali che vengono riconosciuti a lavoratrici e lavoratori sotto forma di servizi, prestazioni e rimborsi spesa con finalità di rilevanza sociale e non retributiva, sono del tutto o in parte esclusi dalla formazione del reddito. Ma l’esclusione è applicabile solo se i bonus sono indirizzati alla generalità dei dipendenti o a intere categorie. Discorso che non vale per le lavoratrici madri.

«Non si ritiene, invece, possibile  - aggiunge l'Agenzia - individuare una categoria di dipendenti sulla base di una distinzione non legata alla prestazione lavorativa, ma a caratteristiche o condizioni personali o familiari del dipendente». Si evidenzia così una logica a cui risponde l’agevolazione diversa rispetto all’esenzione dei fringe benefit, che nel 2024 ha una soglia più alta proprio per lavoratrici e lavoratori con figli o figlie.

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Ultimo aggiornamento: 4 Marzo, 00:06 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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